CLAUDIO MARTELLI

L’ANTIPATICO

Bettino Craxi e la Grande Coalizione

Pag. 217 € 18,00

La nave di Teseo

Claudio Martelli, a venti anni dalla morte di Bettino Craxi, del quale fu stretto collaboratore e vicesegretario nel PSI dell’epoca dedica un libro a Craxi. Il libro è una lettura veloce e interessante. Craxi è indubbiamente un personalità di grande rilievo, un leader, uno che, ancor oggi, divide profondamente estimatori e avversari. Esaltato dagli uni e disprezzato dagli altri. E’ difficile trovare un giudizio sereno ed equanime che sfugga all’acritica esaltazione o al suo contrario cioè l’esecrazione e la dannazione perpetua.

Martelli, pur manifestando la sua simpatia e amicizia per Craxi, ci offre un’ipotesi originale sulla fine di Craxi. Craxi cadde e fu condannato perché era antipatico. Era antipatico persino fisicamente con la sua altezza e il fisico imponente, il carattere ruvido e spigoloso, aveva con tutti un approccio difficile. Martelli racconta in alcuni passaggi un Craxi poco conosciuto. Viene ricordata la sua famosa uscita su Prodhon, che molti lessero come un attacco a Marx. In realtà Craxi intendeva portare un attacco alla vulgata del marxismo, soprattutto nella sua versione leninista, trasformata in dogma immutabile. In realtà Craxi considerava importante l’insegnamento di Marx ed era addirittura un grande ammiratore di Engels, particolarmente quando sottolineava la loro grande capacità di cambiare e correggersi col tempo, facendo rilevare la grande differenza tra Marx ed Engels del “Manifesto” del 1948 e quello di 20 anni dopo, quando partecipava la discussione del partito socialdemocratico tedesco nei congressi di Gotha ed Erfurt.

Craxi, secondo Martelli, fini nel mirino dei giudici e nell’avversione degli organi d’informazione perché era antipatico, particolarmente al mondo della grande industria e della grande finanza, perché era diventato centrale nel sistema politico, nonostante guidasse un partito che non arrivava al 15% dei voti. Non fu quindi la corruzione l’elemento scatenante della fine di Craxi. La corruzione aveva accompagnato tutta la storia politica del dopoguerra. Martelli ne ricorda una serie di casi clamorosi.

Il libro, nonostante sia dichiaratamente di parte, è di grande interesse ed equilibrio. Contribuisce a “evitare di buttare il bambino con l’acqua sporca”, non nega tangentopoli e la degenerazione corruttiva di quegli anni, peraltro continuata anche dopo, ma tende a recuperare una dignità politica a Craxi e a un’idea politica socialista e riformista, che, una volta scomparsa, non significò una vittoria della sinistra, ma un’affermazione delle destre e di Berlusconi. Martelli rimprovera a Craxi di non aver capito per tempo le novità, dopo la caduta del muro di Berlino, e la necessità di “aprire” alla sinistra ex PCI.

L’unico appunto che si può muovere a Martelli è quello di sorvolare sui rapporti con Berlusconi e sull’azione di Craxi a favore dell’occupazione dell’informazione televisiva da parte di Berlusconi.

Silvio Pons

STALIN E LA GUERRA INEVITABILE

1936 – 1941

Ed. EINAUDI

Pagg. 65

Il libro del prof. Silvio Pons non è una novità libraria, mi ha spinto a leggerlo, insieme all’opera di Edward Carr sulla storia dell’Unione Sovietica e all’interessantissimo testo di William Shirer “La caduta della Francia”, a seguito del dibattito scaturito dalla delibera del parlamento europee la causa scatenante della seconda guerra mondiale.

La ricerca di Pons ricostruisce il dibattito all’interno del Komintern, del Partito Comunista dell’URSS e del governo sovietico sul rischio di guerra dopo la presa del potere in Germania da parte di Adolf Hitler.

Negli anni ‘30 le cancellerie europee avevano relegato la diplomazia sovietica in una posizione di sostanziale marginalità.

Maxim Litvinov, commissario agli esteri, negli anni in cui ricoprì la carica, dal 1930 al 1939, orientò la politica estera dell’Urss nella direzione che fu allora definita della “sicurezza collettiva”. Con la nascita dei regimi fascisti nel cuore del continente, e in particolar modo dalla presa di potere di Hitler in Germania, il Commissario del popolo di Stalin ritenne che un avvicinamento alle potenze democratiche, volto alla stipula di un sistema di alleanze che avesse mantenuto lo status quo nell’Europa orientale, sarebbe stata la strada migliore da perseguire per mantenere l’URSS al di fuori di un conflitto che si riteneva inevitabile, garantendo, per l’appunto, quella sicurezza reciproca dei paesi non fascisti che necessitava, secondo Litvinov, di un’azione collettiva per essere preservata.

All’interno dell’URSS e del movimento comunista si profilavano opinioni diverse tra quanti sostenevano la necessità di rafforzare il concetto di “sicurezza collettiva” e la sottoscrizione di accordi con le nazioni antifasciste (Francia, Gran Bretagna, Belgio, Olanda, Cecoslovacchia, Turchia e forse Polonia). L’occupazione militare della Renania aveva reso evidente che, a dispetto dei proclami, l’attacco militare di Hitler avrebbe potuto non necessariamente dirigersi contro l’Unione Sovietica, ma colpire a occidente verso la Francia e il Belgio.

La sedizione franchista in Spagna contro il governo democratico con il diretto intervento militare tedesco e italiano a sostegno di Franco rafforzo’ la paura sovietica di essere isolati dal punto di vista diplomatico e di non avere alcuna garanzia contro la scontata aggressione nazista.

Nel frattempo, le vecchie politiche del “socialfascismo” e dell’attacco alle democrazie borghesi furono accantonate e sostituite dalla politica dei fronti unici e della battaglia non più per il rovesciamento dei regimi capitalistici e ma per la difesa della democrazia.

La risposta delle democrazie occidentali fu evasiva. La sottoscrizione di un patto di assistenza con la Francia non fu mai portato alla conseguenza di un vero accordo militare, anche per l’opposizione britannica. L’accordo per il non intervento in Spagna fu totalmente disatteso dalla Germania e dall’Italia, che rifornirono generosamente di armamenti le forze eversive spagnole, arrivando anche all’invio di truppe. Per contro le potenze democratiche assistettero immobili all’aggressione alla democrazia spagnola. Uno stato fascista in Spagna, unito alla Germania, all’Italia, all’Ungheria, diventava un pericolo sempre maggiore non solo per l’URSS ma per tutta l’Europa, acuito dalla stipula prima del patto antikomintern e, poi, dal patto d’acciaio tra Germania, Italia e Giappone.

Il commissario agli esteri continuava a cercare accordi con i paesi democratici e sosteneva che la Germania, prima di attaccare l’URSS, avrebbe attaccato a occidente, non prima di aver cercato un accordo con l’URSS per evitare una guerra su due fronti.

La posizione di Litvinov non era condivisa da tutto il gruppo dirigente sovietico. Essa fu attaccata da Molotov e Zdanov. La conferenza di Monaco che vide Francia e Gran Bretagna accettare, di fatto, la consegna delle Cecoslovacchia ai nazisti, fu un colpo per la politica di Litvinov. L’Unione Sovietica fu esclusa da Monaco e cominciò a temere di essere lasciata sola davanti alla possibile aggressione di Hitler. La disponibilità sovietica di intervenire militarmente a sostegno della Cecoslovacchia, a patto che lo facesse anche la Francia fu fatta cadere.

La Gran Bretagna offrì da sola la garanzia alla Polonia d’intangibilità delle sue frontiere. Questa scelta aprì un solco tra le potenze occidentali e convinse l’URSS ad avere mani libere nella sua politica estera.

La proposta sovietica di una patto di sicurezza collettiva che coinvolgesse tutti i paesi d’Europa, compresa la Germania, fu lasciata cadere. L’ultimo disperato tentativo del ministro degli esteri sovietico Litvinov fu quello di una patto di mutua assistenza tra tutti i paesi del mar Baltico e del mar Nero. L’opposizione di Polonia e Romania fece cadere la proposta.

Il 3 maggio 1939 il commissario sovietico agli esteri Litvinov si dimise, fu sostituito da Molotov. A fronte del ripetuto disimpegno delle potenze occidentali Stalin cominciò a pensare che un fosse possibile un accordo con la Germania.

I dirigenti sovietici ritenevano la guerra inevitabile e un accordo con la Germania le avrebbe permesso di rimanere estranea al conflitto tra la Germania e il campo fascista contro la Francia e l’Inghilterra.

Il 23 agosto fu siglato il patto Ribbentropp- Molotov. Hitler aveva mano libera in Polonia, in cambio si impegnava a non aggredire l’URSS e le riconosceva il diritto di assicurare una cintura di sicurezza al proprio territorio con l’occupazione del paesi baltici (Estonia, Lettonia e Lituania), della parte orientale della Polonia (quella che la Polonia aveva sottratto con la guerra all’URSS nel 1920) e della Bessarabia.

Il 2 settembre iniziava la seconda guerra mondiale.

NADIA URBINATI

IO, IL POPOLO

Come il populismo trasforma la democrazia

Pagg. 339 € 24,00

Ed. IL MULINO

Il nuovo libro di Nadia Urbinati, appena edito da il Mulino, “Io, il popolo. Come il populismo trasforma la democrazia”, offre uno studio innovativo e ricco di elementi di riflessioni sul fenomeno populista.

Un tempo, si pensava al populismo come un fenomeno tipico di alcuni regimi dell’America Latina, come Peron in Argentina o Chavez in Venezuela. In realtà il populismo non è un prodotto d’importazione, ma è un qualcosa nato all’interno dei nostri regimi democratici, una deformazione mutagene della stessa democrazia. Il populismo trova alimento nelle contraddizioni della democrazia, l’allargarsi delle diseguaglianze, lo strapotere della finanza mondiale che sacrifica gli interessi nazionali, le crescenti incertezze di vastissime aree della popolazione, ma, al momento, non si propone, a differenza del fascismo, un rovesciamento della democrazia.

Punta piuttosto a un logoramento delle istituzioni democratiche, le usa e le mette sotto pressione sino a minarne il funzionamento. Il punto centrale è la “grande bugia” del populismo, che sostituisce alla classica e naturale contrapposizione tra destra e sinistra il conflitto tra popolo e casta, compromettendo in questo modo i presupposti della democrazia rappresentativa.

Secondo le interpretazioni populiste la maggioranza “prende tutto”, chi ha la maggioranza non può venire messo in discussione da nessuno, neppure dalla magistratura, semplicemente perché ha ricevuto un consenso dalla maggioranza, esso è intoccabile. Ne consegue un attacco a uno dei pilastri della democrazia liberale classica, che è la separazione dei poteri. Non è un caso che tra le prime mosse dei regimi populisti di Orban in Ungheria e di Kaczinsky in Polonia ci siano la sottomissione della magistratura al governo e il controllo sulla libertà di stampa.

La Urbinati contesta la possibilità di separare liberalismo e democrazia, sino a considerare un sillogismo l’espressione “democrazia illiberale”. Essa non può esistere, mentre può esistere una democrazia populista può esistere, sino a quando il populismo non entri in conflitto con le sue basi teoriche; il rapporto immediato tra popolo e movimento, attraverso l’uso continuo del WEB e l’identificazione totale tra movimento e leader.

Tutto questo è facile sino a che i populisti stanno all’opposizione, molto più difficile è invece assumere responsabilità di governo, perché, in breve tempo, da movimento diventerà sempre più un qualcosa di simile a un partito, anche nel caso che non ne prenda il nome, questo farà venire meno la sua sbandierata diversità dalle normali forze politiche. La crisi durissima che sta sconvolgendo i 5 Stelle è appunto il prodotto di queste contraddizioni che sono venute a galla.

 Il grande interesse del libro della Urbinati è nella capacità di cogliere la differenza tra i gruppi populisti e i movimenti di protesta, che sono assolutamente compatibili con la democrazia. Le Sardine reclamano più politica e più interesse da parte delle forze politiche democratiche, mentre il populismo demagogico tende alla criminalizzazione dell’avversario, colpevole di tutti i mali, nemico del popolo e difensore della casta.

EMILIO GENTILE

CHI E’ FASCISTA

Editore Laterza

Pag. 133   € 18.00

Emilio Gentile non ha certo bisogno di presentazioni. Uno dei più grandi storici del fascismo, allievo di De Felice, le sue opere sono tradotte in tutti i principali paesi.

In questo agile volume, scritto con la forma della domanda e risposta in modo d’intervista. Gentile polemizza duramente con chi sostiene una presunta affinità genetica tra fascismo e comunismo, ma anche con coloro, particolarmente nel mondo culturale statunitense ha visto il fascismo soprattutto come elemento di spettacolo e di propaganda, mettendo in luce soprattutto i suoi fattori esteriori, mettendo in secondo piano l’organizzazione e la macchina repressiva del fascismo.

Interessante è la dissertazione su chi può essere definito “fascista” e sulla tendenza a catalogare come fascista avversari politici. Si va dall’esasperazione della teoria del “socialfascismo” sostenuta dai partiti comunisti alla fine degli anni venti, all’abitudine di definire fascista personalità politiche che non fanno parte del movimento fascista, ma che hanno elementi che possono richiamare il fascismo.

Gentile polemizza anche con la tesi di Umberto Eco sull’eterno fascismo, tesi che, a giudizio dello studioso, proprio perché enunciata da uno studioso di grande prestigio come Eco, finirebbe per esaltare le formazioni neofasciste, spinte a considerarsi eterne e rischia di distrarre da altre gravi minacce che, oggi, gravano sulla democrazia.

tra queste, lo storico identifica soprattutto la possibilità che «il governo del popolo, dal popolo, per il popolo» si trasformi «in una democrazia fasulla, dove il popolo sovrano è chiamato periodicamente a esercitare la sua opinione magari su piattaforme digitali, come una comparsa che entra in scena solo al momento del voto, per poi tornare dietro le quinte, comparsa silente e non partecipe del dibattito politico e del confronto che porta alla formazione delle decisioni, mentre sulla scena dominano caste, oligarchie, consorterie, generatrici di diseguaglianza e corruzione».


Angelo d’Orsi

L’INTELLETTUALE ANTIFASCISTA.

Ritratto di Leone Ginzburg

Neri Pozza Editore

Pag. 432

€ 19.00

Quello di Angelo d’Orsi è stato un lavoro tanto impegnativo quanto fondamentale per ricostruire un ambito culturale che è di straordinaria importanza e attualità per il pensiero democratico, laico e socialista.

Leone Ginzburg è stato ucciso dai nazisti a soli 35 anni. Di lui non rimangono opere o scritti importanti, sui quali poter lavorare, per pubblicare la sua biografia. Ginzburg era essenzialmente un militante. Nato da una relazione illegittima della madre, durante una vacanza in Italia. Leone nasce in una agiata famiglia ebrea russa, accolto con amore anche dal padre. Sin da bambino, grazie a una “tata” italiana, ha un rapporto con l’Italia, dove viene in vacanza e dove passa gli anni della prima guerra mondiale.

Il lavoro di D’Orsi è un collage paziente, un duro lavoro di ricerca, di ricostruzione. Ne esce un quadro straordinario della vitalità culturale e politica della Torino dell’epoca e della lucida intelligenza nonché dello spirito militante di Leone Ginzburg.

L’autore confessa di aver più volte interrotto il lavoro su Ginzburg e di averlo impostato dietro lo sprone di Bobbio, del quale è stato allievo, che voleva assolutamente che fosse proprio d’Orsi a scrivere la biografia del suo vecchio amico.

A 18 anni si stabilisce definitivamente a Torino e, sin dagli anni del liceo, stabilisce un’amicizia strettissima con Norberto Bobbio. I due si scrivono. Si chiamano con i loro nomi d’infanzia “Lollo” e “Bindi”.

 D’Orsi descrive impeccabilmente l’ambiente culturale torinese che ruotava intorno al liceo D’Azeglio, ove insegnavano professori come Monti, Cosmo, Zino Zini. Dal liceo D’Azeglio in quegli anni uscirà una straordinaria generazione destinata a occupare un posto di primo piano nell’orizzonte culturale italiano. Leone Ginzburg, Norberto Bobbio, Cesare Pavese, Giulio Einaudi, Vittorio Foa, Aldo Agosti, Massimo Mila, Carlo Levi, Luigi Salvatorelli, Franco Antonicelli, Federico Chabod e molti altri. Torino ha forse la più qualificata università del tempo e due case editrici di primaria importanza come la Slavia e la Frassinelli. Leone è un divoratore di libri. Lettore instancabile e onnivoro, spesso dei libri che legge fa un commento che invia all’amico Bobbio.

Leone è un apolide, ebreo e russo in terra straniera, deve cercare un’identità. La sua è un’intelligenza straordinaria. Ottiene una maturità eccellente, che sorprende persino i suoi insegnanti, che pure lo ammiravano. Si iscrive, dapprima, alla facoltà di legge, ma, poi, passa a lettere. Traduce opere dal russo, come “Anna Karenina”. Insieme a Giulio Einaudi dà vita a quella che per molti anni sarà la più prestigiosa casa editrice italiana, la EINAUDI, di cui sarà il primo direttore editoriale. Leone sposa Natalia Levi, dalla quale avrà tre figli, e che manterrà per tutta la vita il nome di Natalia Ginzburg.

Il suo interesse primario è però la politica. A differenza dell’amico Bobbio, che si rifugia nello studio e cerca di nascondere il suo antifascismo, Leone lo manifesta esplicitamente. Diventato docente universitario di letteratura russa, rifiuta di giurare fedeltà al fascismo e viene licenziato. La cosa gli costerà una condanna al confino. Lui sogna un Italia nuova e rifondata, liberata dalla soffocante dittatura fascista. Partecipa alla fondazione del Partito d’Azione, piccolo partito, che ha dato molti dei nomi più belli e nobili della cultura democratica e antifascista e che giocherà un ruolo importante nella resistenza, ma che si scioglierà nel 1947. Leone partecipa al congresso clandestino di Firenze del Partito d’Azione.

Ginzburg dopo la liberazione dal confino, alla caduta del fascismo, si trasferirà a Roma, partecipando attivamente alla resistenza. Torturato orribilmente dai nazisti nel carcere di Regina Coeli, conserverà la lucidità mentale sino all’ultimo, riuscendo a dire al suo compagno di prigionia Sandro Pertini “Guai a noi se domani non sapremo dimenticare le nostre sofferenze, guai se nella nostra condanna investiremo tutto il popolo tedesco”.

 


HAMMAMET di Gianni Amelio.

Un film da vedere. Molto interessante e destinato ad aprire discussioni. Un’interpretazione straordinaria di Pier Francesco Favino, che, in qualche caso, lascia persino il dubbio se si tratti dell’attore o di un brano originale di Craxi registrato. Il film non è la biografia o la storia di Craxi. Non ci parla della formazione, dell’ascesa e del Craxi presidente del consiglio e attore di primo piano della scena politica italiana di quagli anni.

Ci mostra un Craxi stanco e malato nel suo ritiro di Hammamet. Amelio non esprime giudizi ci mostra un Craxi che, a momenti, si mostra irascibile e autoritario anche con chi gli sta intorno, in altri momenti ci mostra il lato umano anche con le sue piccole debolezze, come quando, malato di diabete grave, non sa resistere a un piatto di pasta.

Ne risulta un bel film, ma che rimane un po’ “in sospeso”, prestandosi a letture assolutamente contrapposte tra chi rispolvera la teoria del complotto e chi, viceversa, attribuisce a Craxi tutti i mali possibili.

Forse il giudizio sereno degli storici sarà più equanime, quando le emozioni di chi ha vissuto quei momenti, saranno completamente consegnate alla storia.

Indubbiamente occorre riconoscere che Craxi aveva una grande personalità e intelligenza politica, che è stato un innovatore e ha avuto la capacità di dare orgoglio di appartenenza ai militanti socialisti. La sua azione di governo ha prodotto anche risultati importanti. Tuttavia la bramosia di potere e l’eccesso di autostima hanno finito per trascinarlo nella rovina. Il film ci fa capire la cosa tramite l’apparizione iniziale del tesoriere del PSI, vecchio compagno, che mette in guardia Craxi dalla corruzione dilagante e dal fenomeno delle tangenti. Craxi si difende, dicendo una verità: “lo fanno tutti”, “la chiesa cattolica lo ha fatto per millenni”, il tesoriere ribatte, “sì, ma noi socialisti avremmo dovuto opporci a queste pratiche”.

Il risultato di quella stagione è stata la scomparsa politica, di fatto, del più antico partito italiano e di una straordinaria esperienza storica. Craxi ha finito per trascinare a fondo anche il suo partito e persino l’idea di una formazione politica socialista. La storia di tanti dirigenti socialisti, che hanno dato lustro all’Italia e al movimento operaio, appare ingiustamente cancellata (Costa, Turati, Treves, Prampolini, Nenni, Pertini, Basso, Foa, Buozzi, Morandi e con loro i fratelli Rosselli, Bobbio e tanti altri). Non solo, quella stagione ha significato anche la scomparsa di tutti i partiti che, bene o male, ci avevano regalato 45 anni di democrazia (PSI, DC, PCI, PRI, PSDI, PLI). Nessun leader politico di alta statura è più apparso, da allora, sulla scena politica.

L’analisi politica risulta insufficiente e incompleta rispetto a molti nodi irrisolti. Dopo quella stagione, abbiamo sostituito lo show alla politica. Abbiamo visto da un lato comparire personaggi tristi come Berlusconi e Salvini, dall’altro la sinistra, che non ha mai fatto a fondo i conti con se stessa, ha presentato solo mezze figure, che si sono rivelate tutte inadatte al momento storico. In sostanza è avvenuto il passaggio dell’agire politico da fatto culturale a questione di sola immagine e nessuno sta cercando seriamente di contrastarne gli effetti.

Sul finire della sua esperienza politica emersero gli errori più grossi di Craxi. Non aver capito che col crollo del muro di Berlino era finita l’era dei partiti comunisti e che la storia dei comunisti italiani non poteva essere semplicemente allineata all’esperienza di matrice sovietica, e che era giunta l’ora di assumere iniziative concrete per costruire una sinistra unita, alternativa e vincente.

Oggi, forse, più che mai, le intuizioni craxiane, per certi versi innovative e profonde, apparirebbero fuori tempo. I partito socialisti e socialdemocratici che hanno imboccato la strada del moderatismo e della perdita delle più vecchie tradizioni del socialismo, come nell’esempio di Blair in Inghilterra, si sono, poi rivelate fallimentari e perdenti, tanto che gli unici partiti socialisti che sono riusciti ad affermare un successo politico, son proprio quelli che hanno operato una vigorosa svolta a sinistra, recuperando una forte identità socialista e antagonista, come nei noti casi dei socialisti spagnoli, portoghesi e olandesi.

La sinistra. Senza mai perdere le proprie antiche radici storiche, ha più bisogno di guardare al futuro che non al passato.

SORRY WE MISSED YOU  
Un film di Ken Loach


L’ultimo film di Ken Loach apre una riflessione sui nuovi lavori e sul peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita, indotte dal nuovo capitalismo “moderno”, quello tanto esaltato da molte parti, persino da alcuni esponenti di una sinistra che ha ormai dimenticato le sue origini.

La storia è quella di Ricky che decide di fare il corriere per la consegna di pacchi, come quelli che vediamo tutti i giorni girare per le strade con i loro furgoni. Il cinico capo col quale ha il colloquio iniziale magnifica a Ricky la libertà del suo lavoro; niente timbratura di cartellini, libertà di lavoro, proprietà del proprio mezzo. Il lavoro si rivela presto infernale. Per star dietro alle consegne Ricky lavora 14 ore al giorno, non ha tempo per la famiglia, è stanco e stressato. La moglie fa un duro lavoro di assistenza domiciliare ad anziani e disabili non autosufficienti. Anche per lei il lavoro è duro e senza orario.

Il figlio più grande attraversa un momento difficile, non va a scuola, frequenta un gruppo di graffitari, si scontra sempre più frequentemente col padre, sino a un drammatico momento di ribellione e di scontro. La famiglia risente sempre più negativamente la ricaduta del duro lavoro di Ricky e della moglie e la loro mancanza di tempo da dedicare ai figli e allo stare insieme.

Ken Loach è un maestro nell’illustrarci le nuove forme di lavoro. Quelle sempre più dure e difficili, dove le conquiste storiche dei lavoratori sono cancellate (Pause, assistenza sanitaria, ferie, mensa, permessi, ecc.). Per ogni cosa è prevista una multa pesantissima. Ricky è pestato duramente da una banda di ladri che rubano i pacchi del suo carico. Nella telefonata col capo da pronto soccorso dell’ospedale, con le costole incrinate, un occhio chiuso, le dita di una mano rotte, Ricky si sente ricordare dal cinico capo che deve ripagare 1000 sterline perché gli hanno rotto lo scanner e altre centinaia di sterline per alcuni pacchi rubati.

Finalmente un film che parla della vita reale, di cosa accade a noi, tutti i giorni, che inquadra i perdenti nella nuova lotta di classe, che è riuscita a dividere il mondo del lavoro, a togliere speranze ai giovani che entrano nei nuovi lavori del mondo di Amazon, E.Bay e di questi gruppi che sfruttano senza pietà e non riconoscono neppure le conquiste che i lavoratori avevano saputo affermare nel dopoguerra.

Un film che fa riflettere e sui cui contenuti sarebbe opportuno aprire un dibattito. Questo mondo c’era già stato descritto dal bel film belga “Le nostre battaglie” di Guillame Senez. Purtroppo il cinema americano ci fa vedere solo fumettoni astratti e il cinema italiano, ai tempi del neorealismo, all’avanguardia nell’individuazione delle contraddizioni della società, oggi, sa solo produrre film

superficiali.


Graham Greene

IL TRENO PER ISTANBUL

Pag. 352       € 14.00

SELLERIO editore

La casa editrice Sellerio sta meritoriamente ripubblicando le opere di Graham Greene. “IL TRENO PER ISTANBUL”, pubblicato nel 1932, è stata la prima opera di grande successo per lo scrittore scozzese. Lo scenario è lo stesso del noto romanzo di Aghata Christie “Orient Express”. Si tratta dello stesso fascinoso treno. Questa volta la direzione è invertita. Da Ostenda a Istanbul.

A differenza del libro della Christie non c’è un giallo da risolvere. Greene fa viaggiare insieme diversi personaggi, che intrecciano casualmente i loro destini nel lungo viaggio. C’è la giornalista inglese lesbica e ubriaca Miss Warren, che mostra il suo cinismo nel perseguire la notizia clamorosa, la giovane ballerina Coral, il dottor Czinner, medico e dirigente comunista, il ladro Josef Grunlich e il ricco commerciante ebreo Myatt. Sul treno viaggia anche il celebre scrittore Savory.

Siamo nel periodo tra le due grandi guerre mondiali. L’anno precedente dell’avvento del nazismo in Germania. Si avverte un’Europa oscura e inquieta. C’è un’ombra che aleggia sui protagonisti del romanzo. Greene è abilissimo a mescolare l’esistenza dei personaggi a creare intrecci nei loro destini. Incontri casuali che segneranno la loro vita. Greene confonde anche le nostre idee, rende difficile distinguere i “cattivi” dai “buoni”. Un pessimismo generalizzato sembra prevalere anche nei giudizi sui singoli.

Il dott. Czinner, sognatore di un Mondo più giusto, va incontro alla morte con dignità. Ne è cosciente, sa che le sue speranze rivoluzionarie sono fallite, ma spera che la sua morte sia occasione di riscatto e di affermazione delle verità. Nel personaggio sembra di leggere la sfiducia nelle positive sorti di chi desidera la redenzione sociale dell’umanità. Il ladro ed anche assassino Grunlich riesce invece a cavarsela in maniera tanto avventurosa quanto fortunata. Myatt, che si reca a Istanbul per la sua impresa importatrice di uva passa in Inghilterra, conosce Coral, ha uno scambio amoroso, avverte i sintomi dell’antisemitismo nascente. La cerca quando questa viene fermata dalla polizia jugoslava a Subotica, ma finisce per consolarsi con Janet, che era stata la compagna di Miss Warren.

I personaggi coerenti sono quelli che pagano (Czinner, Coral). Quelli pronti al tradimento o all’accomodamento (Myatt, Savory, Janet Pardoe, lo stesso Runiche) riescono a cavarsela.

Il ritmo del romanzo è incalzante, sembra ritmato dal procedere del treno. La destinazione è Istanbul, ove arriveranno alla fine una parte dei protagonisti. La cruda metafora che se ne ricava è quella di un’umanità che, persa ogni speranza di redenzione sociale o anche semplicemente di relazioni umane, viaggi veloce verso l’impatto con la catastrofe, che, nella storia reale, arriverà di lì a poco col nazismo e il dramma della guerra.


VIOLA ARDONE

IL TRENO DEI BAMBINI

Pag. 233     € 17,50

EINAUDI

Straordinaria la capacità di scrittura di Viola Ardone che ci racconta la storia di Amerigo Speranza, bambino povero senza padre nei vicoli della Napoli del primo dopoguerra. Il racconto è in prima persona e talmente realistico che in tutta la prima parte la Ardone costruisce la narrazione con una scelta di termini e costruzioni che riflettono bene il pensiero di un bambino nella Napoli del 1946. Una Napoli disperata, provata dalla guerra, ma nella quale si mantengono rapporti umani, ci sono figure perfette nell’ambiente dei vecchi quartieri spagnoli di Napoli all’epoca.

I comunisti organizzano un treno di bambini nel tentativo di strapparli alla miseria. Qui la Ardone ci ricorda una storia vera, quella dei treni della solidarietà. Inviano in bambini presso famiglie del Nord Italia, dove gli stessi comunisti hanno organizzato il loro accoglimento presso famiglie disponibili. Efficace la descrizione delle paure, delle voci più assurde che vengono messe in giro. La separazione dagli affetti familiari e dal proprio Mondo è sempre difficile. Amerigo arriva a Modena, ospite della famiglia Benvenuti. Conosce un modo diverso di vivere, buon cibo e abbondante, case calde, una stanza tutta per lui. Il suo “nuovo” padre è un liutaio, che gli regala un violino e lo avvia allo studio dello strumento. Amerigo si trova a suo agio in quel mondo, così come i suoi piccoli amici Tommasino e Mariuccia. Quest’ultima non tornerà mai più a Napoli e si fermerà per sempre in Emilia presso la sua nuova famiglia d’accoglienza. Amerigo torna a Napoli. Ritrova tutte le difficoltà che aveva lasciato. Il violino che gli avevano regalato sparisce per comprare da mangiare. Tommasino sta meglio, la famiglia emiliana provvede a mandargli alimenti, vestiti e aiuti. Amerigo non riceve nulla e scopre che sua madre non ha ritirato la posta e i pacchi che i compagni modenesi hanno inviato.

Una sera, sale su un treno e compie di nuovo il lungo viaggio verso Modena. La narrazione, a questo punto, salta al 1994, quando Amerigo, che ha cambiato il proprio cognome da Speranza in Benvenuti, quello della sua nuova famiglia, torna per la prima volta a Napoli per la morte di sua madre. E’ un grande violinista affermato, non ha certo problemi economici. Dapprima vive la città come un ambiente ostile e vuole scapparne al più presto, poi, ripercorre le sue memorie, scopre l’amore della mamma scomparsa, ritrova Tommasino, ora giudice del tribunale dei minori e ritrova la famiglia del fratello col quale non aveva mai avuto rapporti.

La prima parte del libro è straordinaria. Viola Ardone fa parlare Amerigo, lo fa parlare con le sue frasi e le sue parole napoletane, ci narra situazioni drammatiche senza mai scadere nel patetico. La seconda parte è occasione di una riflessione. Una riflessione della straordinaria capacità di organizzare la solidarietà. E’ uno spaccato di umanità nel quale emergono i personaggi di Maddalena Criscuolo la militante comunista napoletana che organizza il treno dei bambini, di Derna, la militante modenese che accoglie Amerigo e di Rosa, sua sorella e del marito Alcide. Sono tutti personaggi belli, pieni di dignità e di speranza. Maddalena anziana rimpiange l’organizzazione delle sezioni comuniste e dice che, oggi, a fare assistenza sono rimasti solo i preti, ma quella è carità e non solidarietà.


Isabel Allende

LUNGO PETALO DI MARE

Pag. 348 € 19,50

 

Isabel Allende è sempre in grado di sorprenderci per quanto sa trasfondere nei suoi romanzi. In questa storia, ispirata alla vita vissuta di persone realmente conosciute dalla Allende, tramite il racconto della vita di Victor Dalmau, giovane studente di medicina, accorso a combattere come volontario nelle file repubblicane contro le truppe golpiste di Franco, conosciamo la storia dei vinti. Centinaia di migliaia di combattenti della Spagna democratica e repubblicana, sconfitti dall’esercito di Franco, appoggiato da truppe e aviazione tedesca e italiana e grazie all’ignavia di Francia e Inghilterra, sono costretti a cercare la fuga in Francia. Da un duro campo di raccolta su una desolata spiaggia ventosa riescono a imbarcarsi sulla nave Winnipeg, che il grande poeta cileno Pablo Neruda era riuscito a noleggiare per poter portare in Cile parte degli spagnoli che avevano combattuto contro i fascisti.

Nasce da lontano l’amore tra Victor e Roser, che da Guillem fratello di Victor aveva avuto un figlio, poco prima che Guillem, cadesse in combattimento, dapprima come un escamotage per ottenere un visto d’accesso in Cile tramite un matrimonio di necessità, poi, negli anni, come un amore intenso che li unirà per tutta la vita.

In Cile Victor completerà gli studi in medicina e diverrà un famoso cardiologo. Roser sarà una famosa pianista. Conosceranno Salvador Allende, che diventerà presidente del Cile. Col colpo di stato militare, sostenuto dagli USA e dalla CIA, del 1973, la tragica morte di Allende, a Victor toccherà l’arresto, il campo di concentramento e, per la seconda volta nella sua vita, dovrà affrontare l’esilio.

Dopo la morte di Roser, Victor è vecchio e solo, il figlio Marcel lavora all’estero, quando, improvvisamente, scopre di avere una figlia che non conosceva.

Straordinaria la capacità della Allende nel descriverci la cruenta drammaticità della guerra civile spagnola, la tragedia dei combattenti repubblicani e delle loro famiglia in disperata fuga verso la Francia, la cattiva accoglienza e la via di salvezza verso il Cile, organizzata dal grande poeta cileno Pablo Neruda, militante comunista e, successivamente, premio Nobel per la letteratura, allora console del Cile in Francia. La Winnipeg parte dal porto di Bordeaux proprio nel giorno in cui scoppia la seconda guerra mondiale.

Ci sono le difficoltà d’inserimento in Cile, la storia di questo paese, l’amore tra i due protagonisti, molti quadri umani dei vari personaggi che popolano il libro. C’è poi, di nuovo, l’orrore del colpo di stato del generale Pinochet, i morti, le torture, il carcere e l’esilio, che la stessa Allende ha subito in prima persona.

 Il libro è anche un omaggio letterario a Pablo Neruda con i cui versi l’autrice apre ogni capitolo. In apertura due pagine di vecchie foto della guerra di Spagna e di Neruda, in chiusura foto del Cile con Allende e Neruda e le tristi immagini del golpe di Pinochet.

 

ANTONIO SCURATI

M. Il figlio del secolo

BOMPIANI

Pag 839     € 24.00

L’opera di Scurati è veramente imponente e di difficile classificazione tra saggio e romanzo storico, Scurati sceglie una narrazione originale, quella del racconto in prima persona, facendoci vivere direttamente i quattro terribili anni nei quali, tra violenza e sopraffazioni, si affermò il fascismo e il potere personale di Mussolini.

Procedendo nella lettura non si ha la sensazione del saggio di storia, che analizza i fatti che già conosciamo, ma piuttosto quella di un giallo, del quale non conosciamo la soluzione finale.

Il libro ha il pregio di descrivere come in Italia nacque la prima dittatura moderna in Europa, a partire dal 1919, anno di fondazione dei Fasci di Combattimento, fondazione che registrava così poche presenze da costringere Mussolini a spostarla in una piccola sala e da fargli pensare anche a un possibile abbandono dell’attività politica.

Perché il movimento ultra minoritario di un ex socialista diventato interventista, partito con un programma con velleità ugualitarie, riuscì in breve tempo ad affermarsi e a giungere al potere?

Scurati ci presenta i protagonisti, da D’Annunzio che, cocainomane esaltato,riuscì a creare per interessi personali la sensazione diffusa che una nazione, che era tra i vincitori della guerra, fosse in realtà sconfitta. L’idea della “vittoria mutilata”, l’impresa di Fiume, incoraggiata da Mussolini, che però non si recò mai a Fiume, furono gli strumenti che il futuro duce utlizzò per costruire il suo consenso.

Se nei capitoli iniziali si può avere la sensazione di un’eccessiva indulgenza verso Mussolini, sarà, poi, il seguito del libro a chiarire nettamente le posizioni.

Non mancano alcune piccole imprecisioni ed errori. Da amante della cucina ligure riporterò solo il più divertente e meno compromettente sul piano storico. Quando Scurati descrive Mussolini a Milano, la vigilia di Natale, dice che rientrava a casa dove “bolliva il cappon magro”. Evidente errore, dato che il cappon magro, piatto raffinato della gastronomia ligure a base di pesce e verdure, a differenza del cappone non deve affatto bollire, essendo un piatto a freddo.

Un libro da leggere che descrive bene come gli avversari di Mussolini non furono in grado di sbarrargli la strada. Giolitti pensava di poter utilizzare i fascisti per contenere l’ondata socialista e, poi, riuscire a metabolizzare il movimento. Turati aveva la visione giusta, ma ormai appariva figlio di un’epoca precedente. Bombacci, socialista arrabiato, tra i fondatori del partito comunista, che, poi, diventerà fascista e sarà fucilato con Mussolini a Dongo è un vuoto demagogo, che finisce solo di spaventare i moderati. Matteotti è il solo che metterà in difficoltà Mussolini, che per questo lo farà assassinare, ma anche lui è isolato, persino dai suoi compagni.

Nel paese dilagano i personaggi violenti come Leandro Arpinati, fascista della prima ora, che si vantava dei suoi omicidi. Case del popolo, leghe contadine, cooperative, sindacti, sedi socialiste, comuniste, anarchiche e repubblicane, ma anche leghe bianche cattoliche vengon devastate. I capi dei contadini sono spesso uccisi per ditruggere le organizazzioni. La violenza è l’arma con la quale Mussolini si afferma.

Dopo il delitto Matteotti, si crea nel Paese l’ultima ondata d’indignazione, per qualche giorno Mussolini è in difficoltà, non sa scegliere tra l’ala legalitaria del partito fascista e quella dei suoi mazzieri armati. Alla fine sceglie quella dei mazzieri, è di loro che ha bisogno per poggiare la sua dittatura.

 Un’ opera per chi voglia capire la genesi del fascismo. Ci appare un Mussolini diverso da quello un po’ caricaturale dei suoi discorsi, un Mussolini che ha capito una cosa, come l’ha capita, prima di lui, D’Annunzio, che bisogna giocare sulle emozioni della gente, che servono frasi forti, formule lapidarie, “toccare l’animo delle folle”. Qualcuno lo ha capito, anche oggi. Il libro vale anche come messa in guardia da demagoghi vecchi e nuovi. Accompagnato dalla riproduzione di documenti originali, che accompagnano ogni capitolo e che sono fondamentali per la comprensione della vicenda storica “M. il figlio del secolo” è una lettura di grande attualità.

 

Angelo D’Orsi

GRAMSCI – Una nuova biografia.

Feltrinelli.

Pag. 487     € 14.00

Gli studi su Antonio Gramsci conoscono, in questi anni, una diffusione straordinaria, dagli USA alla Francia, dal Brasile all’Inghilterra fioriscono nelle università di tutto il Mondo gli studi gramsciani. Parimenti cresce in formazioni politiche o circoli culturali l’interesse verso il pensatore sardo, tanto da farne, oggi, l’autore italiano più studiato all’estero.

Nonostante questo mancava una biografia compiuta di Gramsci. L’ultima, quella del compianto Giuseppe Fiori, risaliva a quasi 50 anni fa. Angelo D’Orsi colma quindi un vuoto e lo fa regalandoci un testo che, come ha affermato il commentatore de “La Stampa” è “destinato a diventare un classico.

La vicenda umana e politica di Gramsci sono strettamente intrecciate. D’Orsi ci fa capire la formazione e l’evoluzione del pensiero gramsciano legandolo strettamente alle vicissitudini, spesso drammatiche della vita di Gramsci.

Il libro è diviso in cinque parti, che ci raccontano la vita di Gramsci. La prima è dedicata alla storia della sua famiglia, alla sua nascita e alla sua vita in Sardegna. Vita contrassegnata, sin dalla prima infanzia da una disgrazia che segnerà tuta la sua esistenza. Un focolaio di tubercolosi ossea non riconosciuto e non curato, che procurerà a Gramsci una doppia deformazione sulla schiena e sul torace. A questo si aggiunse l’arresto del padre e le condizioni di povertà della famiglia.

La seconda parte è dedicata al Gramsci torinese. A come il giovane sardo si formi in un ambiente culturale straordinario e, per quegli anni, sicuramente il più avanzato in Italia. Torino offre una vivacità culturale e intellettuale straordinaria, ma è anche un laboratorio sociale d’avanguardia per la sua fiorente industria metallurgica e per il forte peso che la classe operaia ha nella città. A Torino Gramsci si avvicina a movimento socialista, aderisce al PSI e inizia una collaborazione con la stampa socialista locale e nazionale (Avanti).

La terza parte parla dell’esperienza di Gramsci, in Austria e soprattutto in Unione Sovietica. Gramsci non è ancora il leader del PCd’I. Al congresso di nascita del nuova partito comunista a Livorno non prenderà neppure la parola. Gramsci pur favorevole a un rapporto unitario con i socialisti, verso il quale spingeva l’Internazionale Comunista e Lenin in persona, non fa una battaglia contro l’atteggiamento settario e isolazionista di Bordiga, allora segretario del partito. Matura però in lui una convinzione diversa, che lo porterà, in breve, a diventare il segretario del partito e a sovvertire la linea bordighiana.

La quarta parte ci parla del Gramsci rientrato in Italia, parlamentare, che vive gli anni agitati del consolidamento del potere fascista sino al compimento del processo dittatoriale,- Gli anni della Marcia su Roma, del delitto Matteotti, dell’Aventino e della messa fuori legge dei partiti democratici, sino al suo illegale arresto, alla sua condanna da parte del tribunale speciale.

La quinta e ultima parte è quella del carcere, del decadimento fisico e di salute al quale viene condannato, che non gli impediscono, pur con tutti i limiti imposti dal regime, di trasmetterci la fondamentale opera dei quaderni.

D’Orsi mette in luce un Gramsci attento osservatore, preoccupato del rapporto con la moglie e con i figli, ai quali scrive tenere pagine anche di racconti. Un Gramsci che soffre la linea del “socialfascismo” che prevale nella terza internazionale. Isolato anche dai compagni, sviluppa in modo del tutto originale l’opera di Marx, modificando anche i termini tradizionali del marxismo, preferendo per esempio “subalterni” a “proletari”. Ne esce un pensiero, che, pur senza mai rompere apertamente con le idee dello stalinismo imperante, ci dà un’idea di un percorso diverso da quello sovietico verso un socialismo più umano e dove si ponga il problema della democrazia nel socialismo. Centrale nel suo pensiero è il concetto di “egemonia” e di conseguenza il ruolo fondamentale degli intellettuali, ricordando che la grande rivoluzione francese non ci sarebbe stata, se, prima del suo scoppio, non ci fosse stato il grande lavoro dei pensatori illuministi.

Importante anche la corposa bibliografia che D’Orsi allega alla fine del libro.


GEORGE SIMENON

IL MEDITERRANEO IN BARCA

Pag. 189     € 16.00

ADELPHI

Un libro curioso e originale per gli amanti del più che prolifico autore franco-belga, abituati ai suoi romanzi e alla serie di racconti del commissario Maigret.

Simenon in questo agile libricino racconta la sua avventura, durata sei mesi, nel 1934, quando decise di andare in giro per il Mediterraneo su una vecchia goletta italiana a vela.

Non manca la descrizione di alcuni personaggi come l’Angelino, factotum di bordo o il burbero capo macchina, che non scende mai a terra. Racconta anche alcune storie come quella della donna senza cuore, sentita da un ergastolano su un’isola italiana.

Il libro è corredato di alcune splendide foto d’epoca, scattate dallo stesso Simenon. L’autore ci racconta storie, descrive personaggi, racconta il Mediterraneo come un luogo ristretto nel quale non si può fare a meno d’incontrarsi. Luogo prescelto da taluni proprio per questa possibilità di farsi vedere.

Mostra al contempo rispetto e fastidio per la grande cultura di questo bacino che ha fatto la storia dell’umanità, osserva i suoi ritmi lenti, la pesante povertà, ma si augura anche che i tempi della vita e il senso di comunità non vengano intaccati e corrotti da una modello di sviluppo industriale che ha già presso campo in Europa e che tarda ad affermarsi nei paesi mediterranei.

A volte, sembra emergere quasi una sorta di disprezzo, subito corretto in un apprezzamento. Il Mediterraneo è stato veramente culla della civiltà. Simenon ci descrive un’epoca che sta per finire. Presto sarebbe venuta la guerra e la definitiva trasformazione anche delle terre mediterranee.

 

Adriano Sofri

IL MARTIRE FASCISTA

Pag. 237   € 15,00

SELLERIO Editore

Ottobre 1930, piena era fascista, in un paesino sloveno annesso all’Italia dopo il 1918, il maestro siciliano Francesco Sottosanti, padre di 5 figli col sesto in arrivo, segretario locale del fascio, viene ucciso a fucilate sulla soglia di casa.

I fascisti creano “Il Martire”. Scolari portati in fila da tutti i paesi al rendere omaggio al “martire fascista”. Ancora bambini portati alle stazioni ferroviarie del lungo percorso, che riporta la salma del “martire” Sottosanti dalla Slovenia alla Sicilia, per gettar fiori sul treno.

In un bel libro, avvincente, a metà tra una ricerca storica e un “noir”. Sofri cattura la nostra attenzione. Dapprima scopriamo che, nella notte nella quale Pinelli “cadde” dalla finestra della questura di Milano, nei locali della questura c’era un certo Sottosanti.

Tornando al 1930, scopriamo che i maestri siciliani, inviati dal fascismo a italianizzare le terre slovene, erano due. Uno era Ugo Sottosanti, una figura torva, un violento, che picchiava i bambini, tisico, usava sputare in bocca ai piccoli, che avessero osato usare una parola slovena o non conoscere un termine italiano.

Ugo Sottosanti era talmente violento e inviso, che le stesse autorità dell’epoca pensarono prudente allontanare dall’insegnamento e dalle terre del Carso.

Il libro mette bene in luce il razzismo e la feroce idea colonialista del fascismo, che vuole estirpare la cultura, l’identità e la lingua delle popolazioni slovene. In quelle terre, sino al 1918, non abitava nessun italiano. L’impero Asburgico aveva rispettato i diversi popoli, che componevano il suo stato multietnico.

Il fascismo considerava gli sloveni come dei barbari, dei sotto uomini. Mussolini in persona incitava alla violenza. L’uso della lingua slovena fu proibito negli uffici pubblici, nelle scuole, persino nelle chiese. I Maestri furono traferiti in giro per l’Italia per italianizzarli, oppure licenziati. Fu proibito ai preti fare prediche in sloveno, furono chiusi i giornali sloveni. I poveri bambini di prima elementare, che non conoscevano una sola parola d’italiano venivano angariati. Ugo Sottosanti si distingue per i suoi metodi cruenti e spietati con i bambini, sino a sputargli in bocca.

Ci sono proteste. Dopo alcuni mesi. Francesco Sottosanti, fascista, ma descritto come una brava persona, viene abbattuto a fucilate. Uno scambio di persona? Francesco ha pagato per il comportamento del fratello? Gli antifascisti sloveni hanno sbagliato fratello?

Dopo molti anni. A Milano compare un altro Sottosanti, figlio di Francesco. I fogli informativi delle questura lo descrivono come uno sbandato, che vive di espedienti, di simpatie fasciste. Arriva a Milano, poco prima della bomba alla Banca dell’Agricoltura in Piazza Fontana, si reca da Pinelli. E’ venuto a testimoniare a favore degli anarchici, accusati ingiustamente delle bombe sui treni, messe in realtà dal gruppo neonazista di Ordine Nuovo veneto di Freda e Ventura. Pinelli gli dà pochi soldi della magra cassa del circolo anarchico per pagare le spese di viaggio. Di lui si parlerà come del sosia di Valpreda. Chi era? Cosa faceva in realtà a Milano? Perché era in questura?

Intrecci clamorosi della storia, Razzismo, persecuzioni, tronfio nazionalismo, giochi pericolosi dei servizi ancora “impestati” da fascisti nell’Italia del dopoguerra.. Eppure Sofri fa avanti e indietro sull’attuale confine tra Italia e Slovenia, dove si può passare liberamente, dove non c’è più filo spinato, garitte e guardie armate, dove i popoli s’incontrano, si contaminano, e, dove, qualcuno, vorrebbe riportare l’odio, la discriminazione e i muri col filo spinato.


ANDREA CAMILLERI

Il Cuoco dell’Alcyon

pag.251 - € 14.00  

SELLERIO – Palermo.


L’ultima opera di Camilleri, uscita postuma, per sua espressa volontà, si discosta dagli altri racconti che hanno come protagonista il commissario Salvo Montalbano, perché l’opera è ricavata dal soggetto per un film mai realizzato, adattato da Camilleri a romanzo. L’uso di termini dialettali siciliani è fortemente aumentato rispetto alle prime uscite dell’autore, non tutti li ho capiti, ma la commozione e il rimpianto per l’ultimo grande della letteratura italiana mi hanno assalito.

ll suicidio di un operaio appena licenziato e un imprenditore privo di scrupoli trovato assassinato con un colpo di pistola alla nuca. E poi c’è l’Alcyon, una goletta un po’ misteriosa, pochissimi gli uomini di equipaggio, niente passeggeri, che però fa rifornimenti di cibi e vivande lussuosi e abbondanti. Per Montalbano sono problemi seri: qualcuno infatti sta tentando di farlo fuori… Un giallo d’azione, entrano in campo anche i servizi segreti, ma Montalbano col fido Fazio e Mimì riesce a far meglio dei detective americani. Molto originale, diverso da tutti gli altri precedenti racconti.

Tra le righe Camilleri riesce a comunicarci la sua visione sui problemi della società odierna e sull’imbarbarimento nei rapporti di lavoro.

 

Marcello Musto

KARL MARX

Biografia intellettuale e politica. 1857-1883

EINAUDI

Pag. 322   € 30,00

 

Sono passati due secoli dalla nascita di Karl Marx. Dopo la caduta del muro di Berlino e la fine dei regimi del “socialismo reale”, molti si erano affannati a sostenere che il pensiero di Marx, che pure aveva contrassegnato un secolo di storia, era ormai tramontato e destinato al dimenticatoio.

Profezia che si è rivelata errata. Oggi, sono moltissimi gli studiosi, in tutto il Mondo, che hanno riscoperto il pensiero e le opere di Karl Marx. Potremmo dire che c’è una vera rifioritura degli studi su Marx.

Marcello Musto lo fa con una metodologia originale, fondendo in un unico corpo la biografia di Marx con l’analisi del suo lavoro. Ne viene fuori un lavoro di grande importanza, che analizza anche scritti inediti o sconosciuti e, soprattutto, inserisce Marx in un contesto storico e personale di grande importanza per una piena comprensione delle sue opere.

Musto ci racconta delle difficoltà quotidiane di Marx, che conduce una vita difficile, profugo senza nazionalità in Inghilterra, privo di risorse economiche, oppresso dai debiti e afflitto da terribili emicranie, col fegato ingrossato e con dolorosissimi favi da carbonchio. Deve continuamente interrompere il suo lavoro principale, la stesura del “Capitale”, per cercare di racimolare qualche soldo per mantenere la famiglia, collaborando con qualche giornale americano o tedesco. Viene fermato da gravi ricadute delle sue malattie e dalla necessità di garantire il suo apporto militante, al quale ha consacrato la sua vita.

Ne esce un Marx a dimensione molto umana, che è felice di poter avere un rapporto con i suoi nipotini e che rimane devastato dal dolore per la scomparsa della sua amata moglie Jenny Von Westfalen. Un Marx diverso, lontano da quei cartelloni giganti delle parate russe o cinesi, un Marx molto più umano, ma anche un Marx spogliato delle ideologie apologetiche che gli erano state costruita intorno.

Troviamo Marx che si arrabbia perché qualcuno si definisce marxista, lui stesso si dichiara non marxista. Un Marx che è lontano anni luce da quella religione laica del marxismo-leninismo di stampo sovietico, che lo aveva ridotto a formulette, che spesso erano anche forzature del suo reale pensiero.

Scopriamo anche un Marx dai molti interessi, al di fuori degli studi economici e giuridici. Interessanti sono le sue attenzioni verso le scienze, la mineralogia e la Cina, l’Asia, l’Africa, a dispetto di chi dipingeva Marx come un pensatore eurocentrico.

Un Marx antidogmatico quindi, un analista della situazione, pronto a correggersi e a rivedere alcune sue posizioni e soprattutto ad adattarle ai mutamenti delle situazioni.

L’opera di Musto si rivela di grande aiuto per una piena rivalutazione dell’opera di KARL MARX, che non è un oracolo infallibile e neppure una religione, ma un coraggioso e attento analista della situazione, che individua le contraddizioni dello sviluppo capitalista e ne anticipa derive che, solo oggi, possiamo comprendere quanto si siano rivelate giuste.

Marx, a differenza dei vecchi socialisti utopisti, che lui critica ma rispetta, non disegna mai una futura società comunista, non parla in nessuna parte di come questa debba essere organizzata. Si limita ad analizzare lo sviluppo della lotta delle classi nelle società precapitalistiche e le contraddizioni crescenti che lo sviluppo capitalistico crea.

Interessanti e di grande attualità sono le pagine dedicate al superamento dello sviluppo a livello nazionale del capitalismo e quelle dedicate al colonialismo. Marx non disegna una linea univoca allo sviluppo verso il socialismo. Conduce una polemica molto dura contro quei socialisti che non volevano partecipare alla lotta politica e alle elezioni.

Musto contribuisce a renderci un Marx più reale, umano e soprattutto attuale e soprattutto utile a chi, oggi, lotta per la giustizia sociale e per l’emancipazione delle classi lavoratrici.

 

 


LUCIO VILLARI

LA LUNA DI FIUME – 1919: IL COMPLOTTO

Ed. GUANDA – pag. 207 € 18,00

Un libro importante e di grande attualità, quello scritto da un grande storico come Lucio Villari, in occasione del centenario dei fatti di Fiume.

Troppi pensano all’episodio fiumano come a un’azione goliardica e autoesaltante di Rapagnetta (Chiamo D’Annunzio col suo vero nome). In realtà Villari ci avverte, sin dalla prefazione, che si tratta di cosa ben più profonda e preoccupante.

 “Le forze occulte sconfitte a Fiume non sono una imperfezione, un caso della nostra storia. Sono la antica “Destra profonda” dell’Italia di cui, con angosciosa consapevolezza, Aldo Moro si accorse, chiamandola così nel 1977. Ne fu vittima un anno dopo. Molti difensori della legge e della democrazia fecero la sua fine.”

Nell’impresa di Rapagnetta/D’Annunzio non c’è nulla di romantico e men che mai di eroico. Egli rappresenta solo la parte emergente di un esteso complotto che mette insieme la grande industria, che si sentiva minacciata dalle agitazioni operaie e che voleva ricacciare indietro le loro conquiste sindacali, il duca d’Aosta, che ambiva a scalzare il cugino dal trono, gran parte dei comandi militari, dei carabinieri e delle forze di polizia.

Da Fiume sarebbe dovuta partire una “MARCIA SU ROMA” e instaurare una dittatura in Italia. In effetti questa tragedia si verificò, proprio come l’aveva prevista Rapagnetta/D’Annunzio, ma solo due anni dopo, e a farla fu Benito Mussolini, che da Rapagnetta/D’Annunzio copiò molto, dal nome di “Duce”, al saluto “Eja, Eja, Alalà”, ai pugnali e all’esaltazione dei valori della morte, sino alla strategia del colpo di stato.

Rapagnetta/D’Annunzio aveva avuto una responsabilità morale enorme nel trascinare l’Italia in una guerra, dove 600.000 giovani ventenni, in gran parte contadini, vennero massacrati e migliaia mutilati e feriti. Fu profumatamente pagato per questo e usato abilmente dal partito dei guerrafondai.

Si rese famoso con le sue imprese più spettacolari che di reale valore militare, tese ad esaltare il suo ego smisurato e la sua fama, ma, a differenza dei soldati che marcivano nel fango delle trincee, lui dormiva in hotel di lusso, tra champagne e cocaina, della quale era un grande consumatore. Da qui esaltava l’eroismo e il sacrificio di una guerra, che osò definire “purificatrice dei popoli”, perché faceva morire i più deboli, fortificando la razza.

Abituato al lusso più sfrenato, temeva che la pace lo avrebbe rovinato finanziariamente, dato che, come sempre, aveva sperperato le risorse che gli fornivano i suoi finanziatori.

Temeva il “fetore di pace”, come disse. Al termine della guerra, inventò la leggenda della “Vittoria mutilata”, accusando gli alleati di aver tradito l’Italia nelle sue aspirazioni territoriali e creando un sentimento di delusione nazionale, di tradimento e rancore generalizzati.

In realtà Fiume non faceva parte di nessun accordo e, mentre in Istria c’era una percentuale di popolazione italiana, a Fiume gli italiani erano, in realtà, un’esigua minoranza.

Ancora retorica, ancora insulti. Col suo gusto coprofilo definì Nitti, presidente del consiglio “Cagoia”. Arrivò a incitare all’omicidio. Tentò persino di aizzare la canaglia contro Giolitti,perché venisse ucciso.

Infine creò lo stato fiumano. Fu solo? Chi lo aiutò? Su quali complicità poteva contare nell’esercito e nella Marina? Chi lo finanziò? Chi lo appoggiò sui giornali dell’epoca?

Fiume doveva essere il prototipo dell’antistato, il prologo del colpo di stato in Italia, la scintilla che avrebbe permesso la conquista del potere e la sconfitta degli odiati giolittiani e soprattutto dei socialisti e dei lavoratori. Fiume fu la prova generale che consentirà a Mussolini di realizzare la sua conquista del potere.

Villari riporta un telegramma spedito dal prefetto di Pisa a Giolitti, che evidenzia con grande chiarezza, non sospettabile di essere partigiana, di quale fosse la situazione “…si preparerebbe a breve scadenza movimento nazionalista conservatore diretto da D’Annunzio, che vorrebbe assumere direzione, facendo assegnazione solidarietà esercito…si sospetta movimento possa essere sostenuto e finanziato dalla industria e alta banca. Queste dopo risoluzioni provocate da vertenza metallurgici e che hanno condotto affermazione principio controllo Sindacale sulle aziende, tenderebbero sottrarsi alla situazione che ritengono pericolosa per loro interesse girando posizione ed inscenando con pretesto rivendicazioni Adriatico movimento con obiettivi e metodi che mascherano completamente vera finalità che si propongono. Movimento sarebbe destinato contrapporsi violentemente azione Socialista e tenderebbe a sgominarlo di colpo con repressione esemplare, per la esecuzione della quale D’Annunzio oltreché sulla riscossa della borghesia conterebbe financo Carabinieri e Guardia Regia…”

 

GEORGE SIMENON

MARIE LA STRABICA

ADELPHI

Pag. 182   € 18,00

E’ la storia del rapporto tra due ragazze Sylvie e Marie, l’una bella e attraente, l’altra bruttina e strabica. Lavorano in una pensione sul mare a Fouras. Sylvie gioca sulla sua avvenenza, flirta col proprietario e finisce per provocare il suicidio di un giovane ritardato del posto.

Uno dei pochi romanzi di Simenon, dove il grande scrittore franco-belga indaga sulla psicologia delle due donne, ne mette in risalto i caratteri. Sylvie è spudorata, ambiziosa, arrivista, sogna di diventare ricca ed è intenzionata ad utilizzare tutti i mezzi per raggiungere il risultato. Marie è taciturna, riservata, pudica, appare rassegnata al suo destino di umile. Il loro è un rapporto strano, ma saldo.

 Le due protagoniste si sono trasferite a Parigi. Per la prima volta, nella vita di Marie sembra entrare un raggio di sole. Conosce un giovane e inizia la prima relazione della sua vita. Sylvie cinica e senza scrupoli conquista il ragazzo.

Le due donne non s’incontrano più per anni. Sylvie è diventata ricca, ha conosciuto un uomo facoltoso, che l’ha fatta vivere begli agi. Ma è schiava dell’alcool. Marie ha trovato lavoro in una piccola brasserie gestita da una famiglia di brave persone.

Dopo quasi trenta anni Sylvie ha ora bisogno di Marie, in quel perverso rapporto di amore, rivalità e fiducia che intercorre tra le due donne. Sarà la rivincita di Marie, che accetta di diventare la complice di Sylvie, diventando l’infermiera del ricco amante di Sylvie, gravemente malato e recluso in casa dai familiari, che vogliono evitare che le sue ricchezze possano finire a Sylvie.

Nella complicità c’è la rivincita di Marie. Ora Sylvie dipende da lei. I ruoli si sono invertiti. La timida, introversa, bruttina Marie, sempre un po’ subalterna alla bella ed esuberante Sylvie è diventata fondamentale per l’amica.

 


Eva Cantarella

GLI INGANNI DI PANDORA

L’origine delle discriminazioni di genere nella Grecia antica

FELTRINELLI

Pag. 85   € 12,00

La grande giurista e grecista Eva Cantarella ci regala un agile e piacevole libro di facile lettura, che ci ricorda quanto grande sia il nostro debito con la Grecia, alla quale dobbiamo l’idea di democrazia, la storiografia, la filosofia, la scienza e il teatro. Tuttavia, tra tutti questi lasciti fondamentali per l’umanità intera, la Cantarella ne mette in luce anche uno non propriamente positivo, l’origine della discriminazione di genere.

 La Cantarella esamina l’origine della discriminazione, partendo dal mito, da Pandora, mandata sulla terra da Zeus per punire la colpa di Prometeo e la presunzione degli uomini. La religione assegna a Zeus, un uomo, la supremazia tra gli dei, che può sedurre le sue amanti e addirittura sottrarle i nascituri.

Non va meglio con la medicina, che sancisce l’inferiorità fisica della donna, ritenuta da alcuni un semplice “deposito” nella gravidanza, alla quale basterebbe il solo seme maschile. Il sangue mestruale era l’uscita di sangue troppo abbondante, per cui le donne dovevano sposarsi perché se il sangue fosse rimasto nel loro corpo avrebbe causato malattie simili all’epilessia.

La filosofia sancisce definitivamente la discriminazione. Platone sostiene che chi fosse vissuto male, come punizione, sarebbe stato reincarnato in un corpo di donna.

La discriminazione ha una radice molto antica, ma è ancora più che mai attuale e le stesse conquiste degli ultimi anni, oggi, vengono rimesse in discussione da chi vuole far girare all’indietro le lancette della storia.

Autore: WU MING

Titolo: PROLETKULT

Editore: Einaudi

Collana: Einaudi. Stile libero big

Anno edizione: 2018

Pagine: 333

 Un libro emozionante, che affascina e trascina alla lettura. Non è un romanzo storico e neppure un giallo, non un libro di fantascienza, non un testo politico o scientifico, ma di tutti questi generi possiede qualcosa. Siamo nel 1927, in Russia ricorre il decimo anniversario della rivoluzione d’ottobre Aleksander Bogdanov, medico, scrittore, scienziato russo, fondatore del Partito Bolscevico insieme a Lenin, è stato emarginato ed escluso dal suo partito. Relegato a dirigere una clinica dove compie ricerche sulle trasfusioni di sangue. Bogdanov è una figura tragica, ricorda il suo passato, l’incontro a Capri con Lenin, col quale aveva incrinato l’amicizia, e la partita a scacchi giocata con lui nel parco della villa di Massimo Gorkij. Nella vita di Bogdanov irrompe Denni, che sostiene di essere figlia di un vecchio compagno di Bogdanov e di un’aliena del pianeta Nacun. I riferimento è all’opera letteraria di Bogdanov “Stella Rossa”, romanzo di grande successo, nel quale Bogdanov immaginava che su Marte si fosse instaurato un regime socialista perfettamente egualitario.

Il libro descrive bene la deriva burocratica e repressiva che la rivoluzione d’ottobre aveva intrapreso da subito con la direzione di Lenin e che stava diventando drammatica col dominio di Stalin. L’organizzazione del sistema politico diventa ossessiva e claustrofobica. Scorrono nel romanzo ricordi e incontri con vari protagonisti della rivoluzione da Luna, da Lunaciarkij a Bazarov ad Anna Kollontaj. Bogdanov va alla disperata ricerca del padre presunto di Denni, il suo vecchio compagno Voloch, che era tra gli artefici della grande rapina di Baku, organizzata da Stalin per finanziare il partito bolscevico allora clandestino. Voloch era un dinamitardo, anarchizzante, fuori da ogni sistema. Quando Bogdanov lo ritrova, sorprendentemente è diventato un dirigente della Ceka, la polizia politica del regime.

Il finale racconta in maniera realistica la fine di Bogdanov morto a seguito di un suo esperimento di trasfusione effettuato su se stesso e del quale descrisse con estrema lucidità, sino alla fine, tutti i sintomi e glie effetti che ne derivavano.

E’ un’occasione per riflettere come per cambiare le cose in maniera rivoluzionaria non basti il cambio della proprietà dei mezzi di produzione o la conquista del potere statale ma occorre “cambiare le teste delle persone” Bogdanov, bolscevico, oppositore di Lenin, sosteneva una rivoluzione basata sulla diffusione della cultura e della conoscenza. Sicuramente un cammino più lento, ma più democratico e sicuro. Ha prevalso una linea diversa, che, di lì a poco, porterà alle “purghe”, alle epurazioni e ai gulag.

 


Autore: UMBERTO ECO

Titolo: IL FASCISMO ETERNO

Editore: LA NAVE DI TESEO

Pag. : 51

€ 5.00

 

Più attuale che mai questo agile libricino di così poche pagine, ma così denso di riflessioni, che dovrebbero risvegliare la nostra attenzione.

Eco ci mette in guardia. Il fascismo non è morto il 25 Aprile 1945, così come il nazismo non è rimasto schiacciato nel bunker della cancelleria di Berlino. Esso è sempre vivo tra noi. Assume forme e aspetti diversi, s’insinua subdolamente tra noi. Oggi, si sente spesso ripetere “ma non penserai davvero che possa tornare il fascismo?”, dando ovviamente per scontata una risposta negativa. Non si accorgono che il fascismo è già tra noi. C’è nel razzismo, nella xenofobia, c’è nel ritorno del nazionalismo e del sovranismo, c’è nell’odio contro le donne e nei tentativi di cancellazione delle conquiste civili, c’è nella battaglia contro le istituzioni parlamentari in nome della “democrazia popolare”, c’è nella volontà di subordinare la magistratura al potere politico, c’è nell’odio contro gli omosessuali, c’è nel falsare la nostra storia.

ECO lo spiega così: “Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: “Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane” “Ahimè, la vita non è così facile. L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo”

Impressiona pensare che Umberto Eco avesse svolto queste osservazioni nel 1995 con una straordinaria capacità premonitiva. Forse ci mette anche un po’ di angoscia, perché, a quell’epoca non pensavamo che saremo arrivati alla situazione attuale. Ci conforta la sollecitazione a combattere e a non abbassare la guardia di fronte alle nuove forme di fascismo senza fez, camicia nera e svastica.

VICTOR SERGE

MEMORIE DI UN RIVOLUZIONARIO

CASA EDITRICE: e/o – Roma

Pagg. 448

€ 16,00

La vita avventurosa di un rivoluzionario, figlio di esuli russi anti zaristi in Belgio. Passato dall’anarchia al comunismo. Victor Serge è tra i protagonisti di primo piano della rivoluzione d’ottobre. Nel libro s’incontrano direttamente i protagonisti della storia, Lenin, Trotzky, Stalin, Zinoviev, Kamenev e gli altri. La descrizione è di parte, quella di un rivoluzionario, che sta incondizionatamente dalla parte della rivoluzione e del nuovo potere sovietico, ma non per questo edulcora la realtà. Drammatiche sono le pagine dedicate al “comunismo di guerra”, alla fame e alla miseria che ne derivarono con la conseguente carestia e i milioni di morti per fame. Così come vengono descritti da un testimone di primo piano gli scontri che, presto, nacquero nel partito bolscevico, particolarmente dopo la morte di Lenin.

La contraddizione di una rivoluzione che ha segnato la storia di tutto il Mondo e che ha aperto la strada per la fine degli imperi coloniali, ma che al proprio interno, molto presto, con la motivazione della difesa delle conquiste rivoluzionarie minacciate dagli eserciti delle grandi potenze occidentali e dalle truppe “bianche”, degenerò in un regime di polizia, che finì per massacrare gran parte degli stessi dirigenti comunisti che quella rivoluzione avevano condotto e per imporre un regime dittatoriale a quei lavoratori che doveva “liberare”.

Un libro avvincente, scritto molto bene, che tutti dovrebbero leggere per capire che la lotta per il socialismo e quella per le libertà democratiche sono inseparabili e non contrapponibili.

Bellissimo il passaggio di Serge, quando, dopo aver lavorato per anni al tentativo di costruzione del socialismo in Russia, sconvolto dalla piega poliziesca e oppressiva dello stalinismo, pur non rinunciando mai ai suoi ideali rivoluzionari e socialisti, ritorna in Belgio, dove viene aiutato dai socialdemocratici locali e constata come il lavoro di questi umanissimi socialisti moderati abbia cambiato il volto dei quartieri operai, realizzando case per i lavoratori, asili, scuole, cooperative e servizi e come la condizione dei lavoratori belgi, grazie al lavoro di questi compagni, un tempo disprezzati, sia nettamente migliorata e sia decisamente superiore in qualità della vita alla situazione dei lavoratori russi dopo la rivoluzione.

PAOLA DUBINI
“CON LA CULTURA NON SI MANGIA. FALSO!”
Ed. LATERZA – Bari
Pag. 152 € 12.00

Un libro dal titolo provocatorio quello che Paola Dubini, docente dell’Università Bocconi di Milano, ha scritto per l’editore Laterza nella fortunata collana tascabile dell’editore barese e da questi fortemente voluto.
Il libro, uscito solo a fine ottobre, ha già ottenuto uno straordinario successo di vendite, particolarmente per un testo di saggistica, anche perché, indipendentemente dalla volontà dell’autrice, è diventato una sorta di bandiera di chi ha a cuore le sorti della cultura e ne valuta a pieno l’importanza a fronte di un’innegabile ondata d’imbarbarimento e di esaltazione dell’ignoranza.
Paola Dubini ha svolto un lavoro eccezionale e smentisce con dati e cifre l’affermazione che forma il titolo del libro, attribuita, a suo tempo, al ministro Tremonti. In Italia le risorse destinate alla cultura sono irrisorie. Il ministro Franceschini aveva fatto alzare la percentuale di spesa allo 0,28% del bilancio dello stato. Spesa che il governo attuale ha, subito, prontamente, ridotto, ma anche quello 0,28%, pur lodevole, era una percentuale troppo modesta, lontana da quell’1%, indicato come valore ottimale dalla UE, pari a meno della metà di quanto spendono paesi come la Francia o la Germania, e molto meno di quanto spendeva la poverissima Italia nel 1955, uscita stremata dalla guerra, con una spesa che, allora, era lo 0,50% del bilancio statale.
Uno studio UNIONCAMERE mostra che il settore della cultura in Italia produce una percentuale del PIL pari al 6 % e che ogni euro investito in cultura ha un moltiplicatore 1,8%, cioè ogni euro investito nella cultura genera una ricaduta di 1 euro e 80 in altri settori. Se si considerano le ricadute su settori come il turismo, la moda, l’industria alimentare e altro la percentuale supera il 25% del PIL italiano.
L’autrice cita esempi clamorosi in Italia come quello del Museo Egizio di Torino, giudicato tra i più avanzati musei al Mondo che porta in dotazione alla città di Torino un fatturato annuo di 187 milioni di Euro, oltre a qualificare la città e essere motivo di forte attrattività turistica. La Scala di Milano è una vera industria con 200 milioni di Euro che porta alla città di Milano.
Uno studio sul turismo ci dice che un turista al mare ha una spesa media giornaliera di 67 Euro, ai laghi 76 euro, in montagna 102, mentre il turista culturale ha una spesa media di 134 euro giornalieri. Non a caso la regione più turistica d’Italia è il Veneto con Venezia e le altre città d’arte, vanta anche la più alta componente culturale di questo turismo pari ad oltre il 40% delle presenze.
Un libro interessantissimo. Una difesa a spada tratta e ben argomentata della cultura, che è anche difesa della democrazia, dell’occupazione e del vivere civile. LEGGETTELO

ALESSANDRO BARBERO

“BENEDETTE GUERRE. Crociate e Jahd”

LATERZA – Bari

Pag. 99     € 12.00

Alessandro Barbero conferma la sua dote di brillante narratore di storia, senza per questo venir meno al metodo storico. Nulla a che vedere quindi con quei pseudo storici nazional popolari che, nel tentativo di “banalizzare” la storia, finiscono per raccontare le loro fantasie storiche, prive di note e di citazione delle fonti.

Il libro racconta l’evoluzione del rapporto che i cristiani hanno avuto con la guerra. Mentre i primi cristiani, fedeli al comandamento di “non uccidere” consideravano le guerre e il mestiere della armi come un peccato, per il buon cristiano da rifiutare assolutamente, tanto da finire perseguitati nell’antica Roma, non, come vuole la vulgata, perché cristiani, che in realtà nella Roma imperiale regnava una grandissima tolleranza religiosa, ma perché avendo un solo giuramento verso il loro dio, rifiutavano il giuramento di fedeltà all’imperatore, che era un semidio e rifiutavano il servizio militare.

Le crociate sono un fenomeno complesso nel quale s’intrecciano motivazioni religiose al desiderio di conquista di nuove terre per i principi europei dalle quale trarre profitti, al tentativo del papato di conquistare l’egemonia politica su tutto l’occidente, in un momento nel quale l’autorità statale e imperiale era molto debole.

Ai crociati vengono garantiti privilegi come il congelamento dei debiti, la garanzia che la casa e le terre non gli sarebbero state toccate e infine la remissione dei peccati. Cavalieri rozzi, ignoranti e analfabeti, ma coraggiosi e validi, non esitano a uccidere in nome di Cristo tutti coloro che cattolici non sono.

Il Papa pensa anche che dal momento che le crociate sono contro gli “infedeli” islamici, altrettanto si possa fare verso chiunque ostacoli il potere papale, contro l’imperatore, o contro territori riottosi e soprattutto contro i Catari o Albigesi.

Il libro illustra con ampie citazioni anche la visione che osservatori terzi hanno dei cavalieri cristiani, come i bizantini, custodi di una grandissima tradizione culturale, che si trovano a ospitare questi rozzi ma valorosi cavalieri, oppure gli stessi islamici in un rapporto complesso di avversione e ammirazione.

Il libro ci racconta del regno cristiano in Terra Santa, esulando dalla visione epica a noi tramandata, e inquadrandolo nella giusta dimensione storica, delle sue divisioni e debolezze, che, alla fine consentiranno al Saladino la riconquista di Gerusalemme.

Un bel libro, che si legge tutto d’un fiato, che sfata molte credenze comuni e ci rivela insoliti punti di vista.


 

LUCIANO CANFORA

LA SCOPA DI DON ABBONDIO – Il moto violento della storia.

EDITORI LATERZA – BARI 2019 – PAG. 97 - € 12.00

 

Un libro che ogni persona di sinistra dovrebbe leggere. Scorre veloce e gustoso, seppur ricco di colte citazioni e scritto da un personaggio di grandissima cultura come il grande glottologo Luciano Canfora.

Canfora prende a prestito Tolstoj e Manzoni per descrivere l’incedere della storia non come percorso lineare, ma come un procedere a balzi o elicoidale. Esamina con crudo e disincantato realismo la rovina delle sinistre in Italia e nel Mondo. Esamina il prevalere delle forze politiche oscurantiste che stanno prendendo il sopravvento in Italia e in Europa.

 La storia è la vecchia talpa di marxiana memoria, che scava tunnel diretti a esiti inattesi. Quando tutto sembra inevitabile, la storia procede per scossoni imprevedibili e ingovernabili.

 Il sogno di ogni governante di dirigere la storia si è sempre infranto contro il moto continuo della storia rivelandosi un’utopia. Dopo la rivoluzione francese, arrivò il direttorio e il bonapartismo e, infine, la restaurazione. Essa non fu mai quella che avrebbero voluto realizzare i suoi artefici. Le idee seminate dalla rivoluzione erano ormai diffuse e considerate imprescindibili, così la restaurazione non fu mai completa, perché non riusciva ad opporsi all’eterno risorgere delle idee, che pur sconfitte sul terreno politico e militare, riemergevano prepotentemente impreviste come appunto “una vecchia talpa”

 Tutti i governanti hanno sognato di “fare la storia”, persino il ridicolo Di Maio ha sentenziato “Stiamo facendo la storia”, prima di lui lo hanno creduto Hitler, Mussolini, Stalin e tanti altri. Ma il sogno di questi governanti si è sempre scontrato con la realtà, determinando utopie non realizzabili. La più grande è stata quella comunista. L’ideale di una società fondata sull’eguaglianza è andato via via sfumando per colpa di coscienze, “impazienti” di vedere realizzata la rivoluzione, hanno forzato i tempi, ne sono scaturite stragi e disastri, tralasciando la via riformista e socialdemocratica, che avrebbe potuto portare in tempi molto più lunghi a conquiste sociali stabili e durature per i lavoratori. Questo perché la rivoluzioni, ci dice Canfora sono grandi momenti di rottura, esse hanno un grande valore di movimento, ma cedono come istituzioni, quando sono prese da una voglia di diseguaglianza che produce forme di assolutismo (il bonapartismo successivo alla Rivoluzione francese, il bolscevismo seguìto alla Rivoluzione russa) più severe di quelle che hanno abbattuto. Di qui lo spiraleggiamento della storia che i nuovi impazienti della sinistra perseguono nella ricerca di rinnovate utopie, senonché il risultato è un avvitamento.

Anche il fascismo subisce un eterno ritorno. Fascistici sono i movimenti populisti e sovranisti che propugnano un avvicinamento delle classi più deboli a quelle più ricche e lo fanno indicando un “nemico”: l’EURO e le MIGRAZIONI, che impoveriscono i ceti più poveri. Il razzismo xenofobico diventa strumento di attacco all’Europa e, contemporaneamente, diventa il terreno di attacco e di scalzamento elettorale di quelle forze, come in Italia il PD, si è assunto un po’ troppo acriticamente il fardello della difesa delle “élite” europeista. Il moto della storia ha rovesciato le posizioni tradizionali, la destra per i suoi giochi si è sostituita alla sinistra nella difesa delle rivendicazioni popolari.

L’avvenire sembra cupo e triste, ma Canfora ci ricorda la “scopa di Don Abbondio”. Le nuova classi dirigente populiste, che vincono sulla base di furenti programmi di onestà, giustizia e redistribuzione del reddito, presto troveranno comode le loro posizioni di potere. Dopo una “rivoluzione”, maturano inevitabilmente le condizioni per una nuova scossa.

 

PRESENTAZIONE LIBRI

LIBRI
Zygmunt Bauman
RETROTOPIA
Laterza, Bari, 2018 pag. 169 € 15.00
E’ l’ultima opera di Zygmunt Bauman (Poznan (Polonia) 1925 – Leeds (GB) 2017), il grande studioso polacco, ebreo di nascita, militante comunista, perseguitato dal regime polacco, cacciato dall’Università di Varsavia, riparato per breve tempo all’Università di Tel Aviv, per poi assumere la cattedra di sociologia all’Università di Leeds, dove è morto.
Bauman è un gigante del pensiero contemporaneo, noto al grande pubblico per la teoria della “società liquida”.
Retrotopia è il contrario di utopia, mentre l’Utopia guarda al futuro, prospetta una società e un avvenire migliore per l’umanità, la retrotopia spinge lo sguardo all’indietro la propensione contemporanea a immaginare nei tempi passati e non più nel futuro, un ideale di una società migliore e più giusta.
Oggi il cambiamento nel quale, per secoli, l’umanità ha riposto la fiducia di un domani migliore per se e per i propri figli, viene visto come un ritorno all’indietro verso una mitizzata società del passato, piena di sicurezze e di possibilità non pienamente realizzate. Questi atteggiamenti sono sotto i nostri occhi, quotidianamente, e da questi discende la paura del nuovo e del diverso e una nostalgia per i bei tempi di una società non contaminata da flussi migratori estranei.
L’origine di questa negatività va ricercata nel fallimento pratico delle utopie realizzate e della stessa idea di progresso. Un tempo si sperava in un futuro migliore, ora, si pensa che il futuro ci riservi sempre un peggioramento.
Bauman ritiene che non esista soluzione possibile nel rivolgerci al passato. Rivolge critiche pesanti al “tradimento” degli ideali europeisti e al fatto che milioni di cittadini europei che avevano riposto le loro speranze in questo grandioso progetto, oggi, si sentano delusi. Tuttavia le risposte che tendono a smantellare l’unità europea sono sbagliate, perché mirano a un ritorno ad una conflittualità tra stati.
Non tutte le retrotopie sono frutto dei nostri pensieri. Bauman esamina il pauroso aumento delle diseguaglianze, dovuto alla concentrazione massima delle ricchezze nella mani di una percentuale sempre più modesta delle nostre società contro l’impoverimento della maggioranza delle stesse società. A differenza di opere precedenti, in questo ultimo lavoro di Bauman emerge un cupo pessimismo, la sfiducia che gli uomini, se non si stringono tra loro, non potranno cambiare il destino negativo della storia. Come sempre lucida la parte di analisi, condivisibili le valutazioni dell’autore, ci lascia un po’ di amaro in bocca la conclusione pessimistica. Spesso rovistare nel passato ci può consentire di capire meglio il presente e il futuro, evitando l’errore di adagiarsi su essi e trovando invece l’ispirazione per combattere per un Mondo miglior


 

Giovanni Gaetani

COME SE DIO FOSSE ANTANI

Ed Nessun Dogma – pag. 138 € 12.00

Il libro è agile, piccolo e di facile lettura. Questo è il suo pregio principale. Giovanni Gaetani, studioso di filosofia ed esponente dell’international Humanist and hetical Union, associazione che mette insieme tutte le associazioni ateistiche di stampo umanistico a livello internazionale con sede a Londra, scrive di filosofia cercando un linguaggio comprensibile a tutti. La lettura risulta facile, scorrevole e appassionante. Numerose sono le citazioni e i brani di filosofi atei riportati nel testo.

Piuttosto discutibile mi sembra invece il centrare il pensiero ateo sull’ asse Nietzche – Schopenauer. Il libro non parla di Diderot, Helvetius, La Mettrie e soprattutto D’Holbach, cita fugacemente Feuerbach, mentre non cita Marx, Engels e Freud. Cita Camus, ma ignora Darwin e Russel. Tra i filosofi non atei, ma che per la loro particolare interpretazione delle religioni hanno finito per favorire lo sviluppo delle idee ateistiche cita, giustamente, Spinoza e Kant, ma ignora Voltaire.

Ne risulta una letture facile, a volte forse sin troppo facile, per chi non abbia dimestichezza col linguaggio filosofico, ma indubbiamente piacevole e ben documentata, seppur, a modesto avviso di noi che non riteniamo Nietzche così centrale per lo sviluppo del pensiero ateistico, appare decisamente incompleto rispetto a pensatori di grande importanza come quelli sopra citati e molti altri.

FEDERICO RAMPINI “Quando inizia la nostra storia” – Mondadori pag. 435. € 19,50


I reportage di Federico Rampini sono sempre interessanti. Egli ci abitua a considerare gli eventi che stiamo vivendo in una luce diversa, ci fa uscire dal nostro provincialismo, per raccontarci il Mondo, sempre più globale e sempre più interdipendente.
Dopo aver utilizzato la geografia per spiegarci la contemporaneità, in questo libro Rampini utilizza la storia. Potreste anche non essere d’accordo con tutte le conclusioni dell’autore, ma sicuramente il libro lascia arricchiti, aiuta ad avere maggiori informazioni e a capire meglio alcune realtà come gli USA, la Cina, il mondo Arabo o Israele.
Sebbene il libro sia ponderoso (435 pagine) si legge molto bene e scorre piacevolmente.
Ho trovato anche diversi stimoli per una persona di sinistra come chi scrive queste poche righe, che aiutano a riflettere sulla situazione disastrosa della sinistra, in questo momento, in Italia e nel Mondo. Fanno pensare alcune stilettate alla mia area politica, ai suoi tabù, al fatto di restare prigioniera del “politicaly correct” o del fatto di non riconoscere i problemi che le grandi migrazioni stanno creando soprattutto ai ceti più deboli delle società economicamente più avanzate, senza scadere nel razzismo e in considerazioni becere, è tuttavia indubbio che sia proprio questo l’elemento sul quale la sinistra ha perso consensi e ha visto il suo elettorato tradizionale, quello delle classi lavoratrici spostarsi sui nuovi populismi. Le pagine su Trump e i suoi incontri tra i lavoratori USA sono uno stimolo scomodo e non semplice di riflessione. Se l’obiettivo era fornire elementi di conoscenza e stimoli alla riflessione critica, allora, si può dire certamente centrato.

 

PRESENTAZIONE LIBRI:

HELENA JANECZEK: La ragazza con la Leica. – pagg. 330. € 18.00 – GUANDA
Bella ricostruzione storica e biografica dell’autrice in un libro che ha ottenuto importanti riconoscimenti come il premio Campiello e lo Strega. La Janeczek ricostruisce la vita avventurosa di Gerda Taro, ebrea polacco-tedesca, comunista, emigrata in Francia per sfuggire al nazismo, legata sentimentalmente a Bob Capa, forse il più famoso fotografo di guerra di tutti i tempi.
La biografia non abbraccia tutta la vita di Gerda, ma solo il periodo che la porta in Spagna, a sostenere insieme a Capa il governo repubblicano, impegnato nella guerra civile contro le truppe fasciste del golpista generale Franco, sorretto da Hitler e Mussolini. Lo fa facendo parlare alcuni testimoni, la sua amica e compagna d’avventure Ruth, due ex fidanzati, rimasti a lei legati.
Il libro è avvincente perché non apologetico. Di Gerda emerge soprattutto “l’esprit de vivre”. Una ragazza bella, affascinante e colta, che ama la vita e la perde a soli 26 anni sul campo di battaglia di Brunete in Spagna. I suoi funerali a Parigi vedono scendere in piazza oltre 200.000 persone in un tripudio di bandiere rosse.
Gerda è bellissima, ama la vita, la vive in maniera intensa, vive spesso tra stenti ma ha il gusto delle belle cose, è disinvolta e disinibita, ma soprattutto è militante e insieme a Capa rende una narrazione straordinaria della cruda realtà delle guerra di Spagna.
Nel libro compaiono personaggi importanti come Hemigway, Dos Passos, Joris Ivens, Willy Brandt e altri.
Helena Janeczek anche lei ebrea polacca, nata in Germania, ma italiana da oltre 30 anni, riesce a trasferire nel libro un che di autobiografico, conferendo alla letture una forte emozione, che, particolarmente nell’ultimo capitolo, non può non colpire il lettore.

RIVISTE PER APPROFONDIRE

Per chi volesse approfondire gli argomenti che desideriamo affrontare in questa pagina di cultura e politica, abbiamo preparato un piccolo indice ragionato su alcune delle più interessanti, attualmente, disponibili.
RIVISTE:

IL PONTE: mensile. Il Ponte è una «rivista di politica economia e cultura», come recita il suo attuale sottotitolo, pubblicata a Firenze, fondata da Piero Calamandrei e oggi diretta da Marcello Rossi. www.ilponterivista.com . Notevoli alcuni “speciali” e la pubblicazione delle opere di Walter Binni, Aldo Capitini ed Enzo Enriquez Agnoletti.

IL MULINO. Bimestrale. Rivista di cultura, attualità, politica, società ed economia. Nasce come rivista riformista in anni difficili. www.rivistailmulino.it; rivistailmulino@mulino.it

MONDO OPERAIO. mensile. Fondata nel 1948 da Pietro Nenni. E’, ancora oggi, la rivista ufficiale del PSI. Per Mondoperaio hanno scritto le migliori firme della cultura italiana e, tuttora, vanta una serie di collaboratori di grandissimo interesse. www.mondoperaio.net ; mondoperaio@mondoperaio.net

CRITICA MARXISTA. Un gruppo d’intellettuali ha rilevato la vecchia rivista ideologica che fu del PCI nel 1992. La “nuova serie” diretta da Aldo Tortorella ospita numerosi autori di gran interesse. Disponibile anche on line. www.criticamarxista.net ; criticamarxistaredazione@gmail.com

MICROMEGA: Bimestrale. Diretta da Paolo Flores D’Arcais. Accanto a collaboratori di assoluto prestigio (Giorello, Bodei, Montanari, Pievani, ecc.) purtroppo ha tra i suoi collaboratori anche l’impresentabile Marco Travaglio. Temi.repubblica.it/micromega-online

LEFT. Settimanale. Rivista economica, agile, decisamente laica. www.left.itsegreteria@left.it

JACOBIN. Trimestrale. Rivista delle nuova sinistra socialista USA, dove ha conosciuto un incredibile successo, ora approda anche alla versione italiana. Esprime la nuova esigenza di socialismo senza le incrostazioni del passato. www.jacobinitalia..it ; info@jacobinitalia.it

ITALIANI/EUROPEI. Bimestrale. Rivista di cultura politica riformista è l’organo della omonima fondazione di cui sono direttori Massimo D’Alema e Giuliano Amato. Ospita collaborazioni del massimo interesse. www.italianieuropei.it

QCR (Quaderni del Circolo Rosselli) trimestrale. sono una collana di fascicoli con cadenza trimestrale, a carattere monotematico e molto qualificati, iniziata nel 1981. Essi rappresentano uno strumento prezioso di diffusione dei temi di dibattito propri della Fondazione e del Circolo di Cultura Politica Fratelli Rosselli. E’ possibile anche richiedere numeri arretrati.www.pacinieditore.it ; info@pacinieditore.it

IL PORTOLANO. Trimestrale. È una rivista di narrativa e critica letteraria che vanta collaborazioni tra le più illustri del panorama nazionale. (Luzi, Magris, Camilleri, Siciliano, Von Straten, Rossanda, ecc.). www.polistampa.com ;

L’INDICE dei libri del mese. Mensile. Informazione culturale e presentazione di novità librarie. Rivista longeva (dal 1984). Pubblica diversi supplementi (scuola, arte, liber, indice degli indici). www.lindiceonline.com ;

INTERNAZIONALE: settimanale. E’ in pratica l’edizione italiana della rivista francese “Courrier International”. Pubblica in italiano articoli di riviste straniere. Sito internet con collegamento ai giornali di tutto il Mondo. www.internazionale.it ; posta@internazionale.it

IL CALENDARIO DEL POPOLO. Monografica trimestrale. Nata nel 1946 come rivista del PCI. Rilevata da Teti Editore nel 1964 ha avuto come collaboratori Carlo Salinari, Norberto Bobbio, Ludovico Geymonat, Margherita Hack, Luciano Canfora. ecc. www.calendariodelpopolo.it

NUOVI ARGOMENTI: è una rivista letteraria trimestrale fondata a Roma nel 1953 da Alberto Carocci e Alberto Moravia. www.nuoviargomenti.net

 

LETTURE CONSIGLIATE:


Cinzia Sciuto "NON C'E' FEDE CHE TENGA" - Feltrinelli 2018.pag. 184. € 20.00


Cinzia Sciuto studiosa e redatrice di "MICROMEGA" ha scritto un vero MANIFESTO PER LA LAICITA',

che, in tempi di fondamentalismi e in società in cui convivono sempre più religioni e visioni della vita diverse è fondamentale per evitare di arrivare ad una lottizzazione degli spazi di libertà
La laicità è l’insieme delle condizioni che permettono alle diverse espressioni religiose, e più in generale alle diverse visioni del mondo, di coesistere in una società pluralistica. Condizioni che garantiscono la libertà di religione ma allo stesso tempo stabiliscono princìpi ai quali non si può derogare in nome di nessun dio.
Un saggio che smaschera le pretese del multiculturalismo che vorrebbe riconoscere spazi di autogestione persino legislativa all'Islam o ad altre religioni. Lo Stato può solo essere laico e l'unica libertà possibile è quella individuale, se si deroga dalla libertà individuale, riconoscendo preteese "libertà di detreminati gruppi" si finisce inevitabilmente per consentire all'interno degli stessi gruppi la soppressione della libertà stessa per i singoli individui.

“Essere laici significa non invocare nessuna tradizione – che sia religiosa o meno per il laico è del tutto irrilevante – per giustificare una limitazione, se non addirittura una violazione, dell’autonomia e della libertà di ciascun singolo essere umano

 

COSA SUCCEDE AL PD?” Un libro ci aiuta a capire meglio. 

Al Capolinea
Di EMANUELE MACALUSO. Ed. Feltrinelli pag. 152 € 8,50


Non è un libro recentissimo, uscito 10 anni fa, mantiene intatta l’analisi e il racconto di un protagonista di primo piano della storia del PCI e della sinistra italiana come Emanuele Macaluso.
Il libro racconta perché si è arrivati alla innaturale fusione tra ex comunisti ed ex democristiani con la formazione del Partito Democratico e la contemporanea e immediata cancellazione dal panorama politico italiano di una forza politica che facesse riferimento ai valori del socialismo. Chi imputa comodamente a Renzi e solo a Renzi la rovina della sinistra italiana, senza togliere a Renzi nessuna delle sue non poche responsabilità, capirà che il disastro della sinistra in Italia ha radici antiche, che non consentono la banale assunzione di Renzi ad alibi.
Macaluso traccia un percorso tragico delle ragioni che hanno portato Ds e Margherita alla nascita del Pd, spiega la ragioni che hanno portato i Ds a deragliare rispetto ad un ipotesi socialista e democratica e a rinunciare all’unità della sinistra. Spiega le ragioni perchè lui al Pd disse di no: perché non è riformista e non è laico.
E mette sul tavolo le alternative con le loro potenzialità ed anche le loro attuali debolezze.

“Era proprio necessario procedere all’unificazione tra Ds e Margherita, sacrificando ogni ragione ideale e teorica che richiamasse al socialismo? Il Partito democratico appare più somma che sintesi. Un partito destinato a esplodere in un prossimo futuro non tanto sulle riforme sociali quanto sui diritti individuali. Popola fine della Dc, il Vaticano si trova a interloquire alternativamente con spezzoni partitici collocati su tutto lo spettro politico. Non sfugge ai più che uno degli interlocutori privilegiati è proprio rappresentato dalla Margherita che può fruire solo di un’autonomia relativa di fronte alle richieste ecclesiali. Ed è proprio questa componente a definire i limiti di azione del Pd sui diritti civili e individuali. Il nascente Partito democratico inevitabilmente erediterà fino in fondo questa ambiguità politica, non riuscendo quindi a diventare quel partito dei diritti che pure vorrebbe incarnare.
Macaluso ritiene invece che proprio un’opposizione condotta in nome del socialismo europeo abbia in sé la forza per affrontare e risolvere i grandi temi emersi dalla più recente modernità: dare risposta ai problemi sociali posti dal capitale globalizzato e, dall’altro, il tema della secolarizzazione e affermazione dei nuovi diritti:”

LIBRI:

Ritanna Armeni “UNA DONNA PUO’ TUTTO” - 1941: volano le streghe della notte. Ed. Ponte alle Grazie. Pag. 230 - € 16.00.

 Ritanna Armeni racconta con passione e con scrupolo storico la vicenda delle squadriglie aeree composte di sole donne, che combatterono nell’esercito sovietico contro i nazisti nella seconda guerra mondiale.

Ne emerge la storia poco conosciuta delle “streghe della notte”. Definizione affidata loro da un ufficiale tedesco, a causa del terrore che queste donne coraggiose con i loro piccoli e antiquati aerei seminavano tra le truppe tedesche con i loro bombardamenti notturni.
Fu la famosa aviatrice russa Marina Raskova a convincere Stalin in persona ad autorizzare la formazione di squadroni aerei di sole donne, nei quali non solo i piloti, ma meccanici, armieri e tutto il personale era composto da sole donne.
Volavano su vecchi Polikarpov a doppia ala, un pilota e una mitragliera. Molte di loro non fecero ritorno. Ma la loro fu anche una battaglia contro i pregiudizi degli uomini e del tempo, con grande valore dimostrarono la loro voglia di riscatto e soprattutto che “Una donna può tutto”.
Al termine della guerra furono onorate, ma i loro reparti vennero sciolti e le donne, nella patria del socialismo e dell’emancipazione, vennero rimandate a casa e ricacciate nei loro lavori e nelle loro case.
Ritanna Armeni ricostruisce la loro storia rintracciando l’ultima superstite ancora in vita Irina Rakobolskaja, 96 anni. Queste donne non solo hanno dato un contributo alla sconfitta del nazismo, ma hanno con orgoglio mostrato l’ostinata riproposizione di una memoria che la Storia al maschile vorrebbe cancellare. Il loro vero obiettivo è l’emancipazione, la parità a tutti i costi con gli uomini. Il loro nemico, prima ancora dei tedeschi, il pregiudizio, la diffidenza dei loro compagni, l’oblio in cui vorrebbero confinarle.


SANTO PELI, Storie di GAP. Terrorismo urbano e Resistenza, Torino, Einaudi, 2017, € 30. 

 *Nell’aprile 1943 Antonio Roasio, uno dei tre responsabili del Partito comunista, invia una lettera strettamente riservata alle organizzazioni regionali, in cui fa presente l’urgente necessità di attrezzare i militanti alla lotta armata a mezzo dell’organizzazione di “Gruppi di azione patriottica”, capaci di condurre azioni di sabotaggio delle attrezzature militari e contro i massimi dirigenti del partito fascista.

A livello pratico, però, le prime iniziative concrete verranno messe in atto solo dopo l’armistizio dell’8 settembre. Dai profili biografici dei protagonisti alle questioni cruciali—il rapporto fra gappismo e resistenza armata, il tema della rappresaglia, il problema del consenso fra la popolazione—dal racconto degli attentati più eclatanti alla lotta partigiana e alle ripercussioni sul nostro passato recente, Santo Peli ripercorre con rigore e imparzialità l’intera vicenda dei Gap per superare le molte leggende e restituire ai lettori una ricostruzione lontana dalla retorica e dalla speculazione. E colma una lacuna rilevante nel panorama dell’analisi storica del nostro Paese.

*Dall’ultima di copertina del volume di Santo Peli, Storie di GAP. Terrorismo urbano e Resistenza, Torino, Einaudi, 2017




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