Numero 34, 31 agosto 2022

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PILLOLE

Dipendenti Carige (s)venduti insieme alla banca

La Carige, come banca ligure, è morta. Resterà il nome che per i gonzi che non leggono i giornali e alla tv vedono solo Barbara D’Urso. Come le navi Costa, che appartengono all’americana Carnival.



Servi della gleba, oggi

Come già avevamo annunciato, la BPER, padrona della (ex) Carige, ha venduto 40 sportelli al Banco Desio, con tanto di impiegati dentro. Come ai tempi dei servi della gleba: con l’acquisto della terra compravi anche la forza lavoro, id est schiavi. Prendete i 40 sportelli e conservate la lista. Quanti saranno chiusi entro un anno e gli impiegati licenziati o costretti a trasferirsi in altre parti d’Italia, via dalle famiglie e dai luoghi d’origine? Scommetto almeno il 50%: è la legge del mercato, di un becero vecchio e nuovo capitalismo in cui il valore umano conta solo se si può vendere.


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Ferragosto e ponte Morandi. Un commento a futura memoria

“A quattro anni dal crollo del viadotto di Genova si è aperto il processo per dare un p o’ di giustizia alle famiglie dei 43 morti. È un’inchiesta che coinvolge 59 imputati e ruota tutta attorno al tema dei mancati controlli. Soprattutto, quella del Ponte Morandi è una storia italiana. Una vicenda in cui ci si accorge che nessuno sorvegliava l’opera più a rischio del Paese solo dopo una strage, in cui la verità viene nascosta, i documenti falsificati, le indagini depistate. In cui le vittime piangono i morti di un sistema che ha consentito ai proprietari delle autostrade, le società della famiglia Benetton, di fare soldi a palate, e dopo il disastro, di rivendere a un ottimo prezzo (8,3 miliardi) una società piena di debiti, gravata da cause e impegni miliardari” (il Fatto Q. 14 agosto 2022).

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Il Governator si diverte. Ma quanto ci costa!

Dopo una vita passata nei corridoi di Mediaset come rimpiazzo di Emilio Fede, il viareggino Giovanni Toti ha trovato nella reggia di piazza De Ferrari, sede di Regione Liguria, la sua caverna di Alì Babà e annessi tesori. Ma il neo-nababbo non ha dovuto proferire il canonico “apriti sesamo”, bensì un più modesto “signorsì” a Silvio Berlusconi che lo precettava alla carica di nostro governatore. Ora, come tutti i beneficiati da improvviso colpo di fortuna, si può togliere ogni sfizio spendendo e spandendo.



Canalis: my secret, Toti

Sicché la sua gita di tre giorni in Dubai è costata140milaeuro (e solo il biglietto in Top Class, 5mila).

Ingaggiare il sex symbol Elisabetta Canalis per uno spot di 60’ richiede 240mila euro e la cenetta a Portofino con la bella 20mila. Tutti pagati dal tesoro nella caverna, alimentato dai soldi dei liguri.

EDITORIALI

Il professor Alessandro Cavalli, già docente di Sociologia all’Università di Pavia, da tempo nostro concittadino, interviene nel dibattito avviato nel numero della Voce del 31 luglio sul potere a Genova e in Liguria.

Città in declino, élite senza voglia di reagire

Vivo da quasi vent'anni a Genova, al margine del mondo politico-culturale. So poco della città e ancor meno delle altre tre provincie liguri. Non ho mai fatto vera e propria ricerca sociale (il mio mestiere) in questa città/regione, ma ho raccolto tante impressioni, non so quanto attendibili e forse alcune distorte da una percezione molto selettiva.

Prima impressione. Dopo l'unità lo sviluppo di Genova è stato prevalentemente promosso e pilotato dall'esterno più che dalle élite locali. Nel secondo dopoguerra il grande “balzo” ha visto come protagonista l'industria pesante in gran parte pubblica, anche questa volta con leadership spesso non locale. Anche la fondazione dell'IIT è stata ostacolata più che favorita dalla città e dalle sue classi dirigenti.

Seconda impressione. La crisi industriale (e anche demografica) che ha colpito la città nell'ultimo mezzo secolo non ha messo in moto, se non del tutto parzialmente, un ripensamento profondo da parte delle élite locali su come si reinventa lo sviluppo della città, come hanno fatto, sia pure con qualche esitazione, Torino e molte città nord-europee, soprattutto nell'area della Ruhr. La transizione verso l'high tech, la digitalizzazione, l'innovazione, la green economy è stata molto parziale e senza convinzione. La vicenda Erzelli è significativa. Anche la trasformazione verso il modello di città turistica è stato tardiva e molto cauta.

Terza impressione. La società civile, colta ad esempio dall'associazionismo, è ricca di iniziative e ampiamente diversificata. Sono però scarsi i collegamenti e le collaborazioni tra le diverse iniziative, come se ognuna coltivasse gelosamente la sua cerchia, senza fare “rete”. L'impressione è che ci siano tante “chiese”, “logge”, “cosche” che non dialogano tra loro ed evitano di stabilire delle relazioni sufficientemente stabili.

Quarta impressione. Le classi dirigente locali, ancorché solide, non hanno esse stesse grande fiducia nelle possibilità di sviluppo della città e mandano i propri figli a studiare “fuori”, a Milano, ma anche all'estero, nell'ipotesi che possano fare carriera altrove piuttosto che nella città natale. Salvo alcune aree di eccellenza, l'Università di Genova esporta i propri laureati triennali verso altre università per i corsi magistrali e i corsi di dottorato. Salvo le solite aree di eccellenza, difficilmente attira studenti e dottorandi da altre università e in particolare dall'estero.

Quinta impressione conclusiva. La città ha avuto negli ultimi decenni una classe dirigente adeguata alla propria riproduzione (beninteso senza distinzioni tra destra e sinistra) ma priva di slancio verso il futuro. Non mi sembra che le élite si siano poste il seguente interrogativo: quali sono le grandi tendenze scientifico-tecnologiche, economiche, sociali e culturali del mondo attuale e a che ruolo può ambire la città nei decenni a venire nel quadro di queste tendenze. La città è in declino, si compiace delle sue antiche glorie e della sua innegabile bellezza, ma per ora non sembra abbia voglia di reagire.

Alessandro Cavalli

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Carige: il morso dello squalo Bper

Cerco di spiegare l’operazione “sharkbite” (il morso dello squalo) di Bper nei confronti di Carige. La



prima ne aveva acquistato l’80%, e con l’OPA (offerta pubblica di acquisto) sta tentando di arrivare al 95%. In questo modo la Bper ottiene due risultati: avrà il diritto di acquistare, anche contro la volontà



di chi vuol tenersi le azioni, il restante 5% a un prezzo prestabilito, (ovvero 0,80 per azione), a prescindere dal valore reale che sarà molto superiore. Operazione che poi consentirà obbligatoriamente, per legge, il c.d. delisting, ovvero l’uscita dalla Borsa. In sostanza, l’operazione di Bper, con il placet governativo e degli organi di vigilanza (“vigilanza” senza stare troppo a ridere, per favore), non è il salvataggio della Carige, ma una mera operazione speculativa sulle spalle dei piccoli azionisti che o si prendono l’elemosina volontariamente o se la prendono lo stesso. Per essere ancora più chiari è come acquistare una casa all’asta mettendosi d’accordo con un tribunale, buttando fuori gli inquilini e rivendere a prezzo di mercato. Per carità tutto legale, ma fino a un certo punto, perché le maglie della legge a volte consentono di esercitare la giustizia: il “nomos”, la legge, è diverso, anche etimologicamente dalla “Dike”, Giustizia. Stanno tuttavia provando a esercitare quest’ultima, l’associazione Voce degli azionisti, che con un esposto alla Consob (che dovrebbe vigilare, non è una battuta, ma che è coinvolta), sta provando a bloccare l’OPA. Spiegando anche che in tutta l’operazione è coinvolta anche una “gabola” fiscale. Seguite bene: i crediti deteriorati della Carige, nati da una gestione allegra e corrotta (come stabilito in sede giudiziale), sono stati acquisiti dalla Bper con tutto il pacchetto Carige. Ma, attenzione, se riescono a chiudere lo sharkbite di cui sopra, trasformeranno quei crediti che non saranno mai pagati, in credito d’imposta, ovvero non pagando le tasse che sarebbero dovute. E chi paga tutto questo: noi naturalmente, perché è lo Stato a rimetterci i soldi. Se tra i nostri lettori c’è qualcuno che ha ancora azioni Carige, se le tenga strette, dicendo a tutti di fare altrettanto. Tanto, o prendete lo 0,80 per azione volontariamente e offrite il destro allo sharkbite oppure, alla peggio prendete lo 0,80 per azione lo stesso, ma con la soddisfazione di averci almeno provato. E se evitiamo il morso dello squalo, non prestate orecchio a quelli che dicono che allora la Carige fallirebbe, perché se fosse vero o stato vero, avrebbero aspettato il fallimento per prenderla con la metà degli impiegati e con un euro (il nummo uno dei latini) di facciata. Se evitiamo il morso potrebbe addirittura succedere che, fuori dai giochi della politica e della finanza, dove la prima soggiace alla seconda, salti fuori un altro operatore, magari estero (come è successo con il Credit Agricole sulla BNL), che investa perché crede nella Liguria e magari faccia ritornare la Carige la banca del territorio. Sogno? Forse sì, ma almeno sognare non costa nulla e a volte i sogni si avverano.

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La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”

Danilo Bruno, Nicola Caprioni, Daniela Cassini, Angelo Ciani, Mauro Giampaoli, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Pierfranco Pellizzetti, Getto Viarengo.

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Hanno scritto per noi:

Andrea Agostini, Marco Aime, Franco Astengo, Enzo Barnabà, Maddalena Bartolini, Giorgio Beretta, Marco Bersani, Sandro Bertagna, Pierluigi Biagioni, Pieraldo Canessa, Alessandro Cavalli, Roberto Centi, Riccardo Degl’Innocenti, Battistina Dellepiane, Egildo Derchi, Marco De Silva, Monica Faridone, Erminia Federico, Maura Galli, Luca Garibaldi, Luca Gazzano, Valerio Gennaro, Antonio Gozzi, Roberto Guarino, Monica Lanfranco, Maddalena Leali, Giuseppe Pippo Marcenaro, Antonella Marras, Fioriana Mastrandrea, Maurizio Michelini, Anna Maria Pagano, Paola Panzera, Marianna Pederzolli, Roberta Piazzi, Enrico Pignone, Bruno Piotti, Paolo Putrino, Bernardo Ratti, Ferruccio Sansa, Carla Scarsi, Sergio Schintu, Mauro Solari, Piera Sommovigo, Giovanni Spalla, Angelo Spanò, Giulio A. Tozzi, Gianfranco Tripodo, Gianmarco Veruggio, Moreno Veschi.

POSTA

Lettera aperta a Ferruccio Sansa

Caro Ferruccio,

abbiamo letto e apprezzato il tuo lungo articolo - apparso su Domani on line il 13 agosto scorso - in cui analizzavi con dovizia di particolari l’assetto di potere, in via di consolidamento come vero e proprio regime, con cui il duo Giovanni Toti e Marco Bucci sta colonizzando la Liguria; attraverso una “divisione del lavoro” efficace quanto (democraticamente) inquietante; che ha relegato a uno stato larvale ogni forma di opposizione.

Dunque, il “Modello Genova”, teorizzato e creato opportunisticamente a seguito della tragedia del ponte Morandi come modus operandi per aggirare regolamenti e controlli negli investimenti infrastrutturali; cui – a nostro avviso – va affiancato il “Sistema Liguria”, inteso come grande macchina comunicativa di manipolazione del pensiero collettivo, che si nutre della narrazione dei fasti veri o presunti di quanto realizzato dal “Modello”: per ora un nuovo ponte bruttarello e di dubbia qualità tecnica, più una serie ininterrotta di effetti d’annuncio pasticcioni. Tali – però - da canalizzare una mole inusitata di finanziamenti pubblici che, assommandosi al fundraising collusivo grazie allo scambio affaristico con operatori privati, mette a disposizione dell’azione colonizzatrice di società e istituzioni una massa di denaro spropositata e incontrastabile. Ma, a prescindere da questa abilità estrattiva, nel Modello/Sistema non si riscontra nulla di originale (il “fare” di Bucci ripropone il laissez faire rivolto dal secentesco commerciante marsigliese Legendre al ministro Colbert; l’illusionismo avido totiano è soltanto una rivisitazione in chiave regionale del Berlusconismo).

Va detto che il Modello/Sistema di questa Destra ingegnerizza ed enfatizza all’ennesima potenza una struttura di controllo/scambio/prelievo direttamente ereditata dalla Sinistra gà al governo della Liguria, da cui si differenzia solo per quantità e intensità; e per lo stile: al minimalismo popolar-pauperistico del presidente Burlando, che gioca a bocce e promuove il pesce azzurro (blue fish), si contrappone l’ostentazione neo-borghese cafona del lusso e del costoso (alberghi, viaggi, cene) del presidente Toti. Uno stile Briatore-Mediaset molto “spirito dei tempi”, in cui l’apprezzamento sociale si indirizza al tipo dell’arricchito “non si sa bene come”.

Dunque, totale convergenza da parte nostra sulla tua analisi. E allora? La perplessità nasce dal fatto che si tratta solo di – una pur meritevole – analisi. Non di una politica.

Le analisi le fanno gli analisti, alla politica spetta il compito di convertirle in iniziative concrete. La classica sequenza pensiero/azione. Difatti ciò che manca è una strategia implementata di contrasto sul campo alla (ir)resistibile ascesa di questa Destra – al tempo – bulimica di potere e mimetica.

Quindi, linee di intervento attivo allo scopo di fare ciò che persegue una forza di opposizione: spedire l’avversario all’opposizione. Ossia, contrapporre al blocco sociale su cui si regge la maggioranza, l’individuazione dei pezzi di società mobilitabili contro, e individuare i modi per raggiungerli; aggregare interessi alternativi a quelli attualmente egemoni, di cui smascherare contraddizioni e perversità; coalizzare organizzazioni e soggetti ad oggi “svincoli e sparpagliati”; trasformare la denuncia in campagna sistematica e mirata. In primis, rendere credibile un’ipotesi di cambiamento agli occhi di chi ha perso la speranza e si è ritirato nella frustrazione. Perché tutto questo diventi lo start di una politica occorre avviare una fase che censisca e mobiliti tutte le energie disponibili, canalizzandole in un progetto strategico condiviso.

Se ci fosse una chiamata di tal fatta, noi saremmo disponibili a partecipare alla discussione.

Nicola Caprioni, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Pierfranco Pellizzetti

FATTI DI LIGURIA

Continuano a giungere segnali preoccupanti sulle condizioni dell’associazionismo ligure. Questa volta riguardano un’associazione benemerita quale l’Anpi, proprio mentre si moltiplicano gli attacchi alla nostra Costituzione nata dalla Resistenza e segnali di avanzate neofasciste. Questo quanto il 1 agosto ci è pervenuto al riguardo da Chiavari.

"L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la posizione assunta dalla presidenza nazionale di Anpi su questo tema e il dibattito interno che ne è seguito, hanno prodotto conseguenze anche a livello periferico.

I sottoscritti dirigenti della sezione Anpi Chiavari “Paolo Castagnino Saetta” hanno espresso (nell’ambito del Comitato di sezione, organo direttivo dell’associazione) la loro contrarietà rispetto alla linea tenuta dalla presidenza nazionale, ritenuta ambigua (almeno all’inizio) nell’attribuzione delle responsabilità di questa tragedia, e contraddittoria nel momento in cui sostiene il diritto all’autodifesa del Paese aggredito, contestando però la legittimità dell’invio allo stesso di aiuti militari. Si tratta di una questione di fondo, che attiene ai valori costitutivi dell’associazione, alla sua identità composita e pluralista e al diritto di poter esprimere pubblicamente idee e posizioni diverse rispetto a quelle ufficiali. Un’associazione che non è un partito con le sue dogmatiche verità e ha, invece, un’anima plurale, dove coesistono sensibilità diverse; un’associazione che deve tendere ad aprirsi sempre di più all’esterno e al mondo associativo che si riconosce nella difesa dei valori costituzionali. Dopo aver constatato che una parte almeno equivalente dei componenti il Comitato di sezione e lo stesso presidente provinciale si trovavano su posizioni inconciliabili con le nostre, e nell’impossibilità di continuare a rappresentare all’esterno una linea che non ci sentiamo di condividere, abbiamo deciso di rassegnare le dimissioni dagli incarichi di responsabilità che ci erano stati assegnati. Anche alla luce di perplessità affiorate in seno al Comitato di sezione su alcune iniziative portate avanti a livello locale e sul modo stesso di intendere il ruolo dell’Anpi. Associazione della quale continueremo a fare parte, in attesa che l’assemblea dei soci venga convocata e possa a sua volta esprimersi, dando il proprio contributo al dibattito".

Maria Grazie Daniele, Presidente Anpi Chiavari; Roberto Pettinaroli, vice presidente vicario; Francesca Perri, vice presidente; Cristina Pitruzzella, segreteria e coordinamento; Giorgio Getto Viarengo, membro del Comitato di sezione e storico dell’associazione

Fascismo e Associazionismo: una storia di cento anni fa

Per riuscire a comprendere come la dittatura fascista riuscì ad affermarsi è bene studiare e ricercare sui singoli territori come la scalata al potere si realizzò. Questo lavoro, certamente microstorico, permette di verificare come le nuove classi dirigenti trovarono consenso e come il movimento operaio, maggior antagonista del processo di fascistizzazione, fu sconfitto. L’obiettivo del primo squadrismo furono le Camere del Lavoro, le sedi socialiste e comuniste, qui un primo dato: durante il “biennio rosso” le sedi potevano essere nei medesimi luoghi, in particolare era spesso presente la sede socialista insieme alla Camera del Lavoro. Il primo picco della violenza fascista si presenta nelle ore successive lo “sciopero legalitario”, iniziativa politica sindacale per fermare i devastanti atti del primo squadrismo. Nell’ottobre del 1922 questo emerge con chiarezza dai documenti della Prefettura, si verifica una volontà del governo Facta per contenere e arrestare le azioni previste dai fascisti. Le carte ci narrano di occupazioni delle stazioni ferroviarie, di ripetute violenze nelle sedi di partito e sindacali, la volontà di un prossimo salto di qualità con l’occupazione degli uffici pubblici istituzionali. In quei giorni il prefetto di Genova e il sottoprefetto di Chiavari si attivano per puntuali indagini, addirittura un questionario per verificare la consistenza dello squadrismo e la sua articolazione sul territorio. Nella sola giornata del 28 ottobre, il drammatico epilogo della Marcia su Roma, si contano diversi telegrammi per contenere la “mobilitazione fascista”, poi arriveranno le ore “dodici”, dove un nuovo telegramma revocherà ogni azione per garantire l’ordine pubblico e il contrasto ai fascisti, da quel momento il Paese, col re che rifiuta la firma dello stato d’assedio, cambiava definitivamente il suo destino. Con l’incarico a Mussolini, il fascismo ligure si mobilita a presidio della Prefettura, si assiste all’assalto ai municipi e la violenta azione per chiedere le dimissioni delle amministrazioni dell’intera Liguria. Tuti atti che preludono al nuovo ordine locale e la nomina dei “podestà” fascisti. Il nuovo governo presieduto da Mussolini non tardò a dimostrare il suo intento liberticida e le nuove norme contro l’associazionismo iniziarono il loro percorso sin dal 1924 col decreto legge per lo scioglimento delle Società di Mutuo Soccorso; 1926: leggi speciali e costituzione dell'Opera Nazionale Dopolavoro per assorbire tutte le forme di associazionismo nel regime fascista. Il nostro territorio poteva storicamente vantare un vasto universo della solidarietà, sin dai primi mesi del varo dello Statuto Albertino, marzo 1848, il territorio Ligure e la provincia di Genova registravano un fiorire di associazioni, dove lavoro e mutua assistenza diventavano l’obiettivo del nuovo progetto del movimento operaio. Leo Morabito e Emilio Costa ci hanno lascito un prezioso catalogo delle centinaia d’associazioni operanti tra il 1850 e il 1924, un mondo che non poteva sopportare la dittatura e le “fascistissime” leggi volute da Mussolini le cancellarono definitivamente. Il grande dibattito riguarderà la gerarchia ecclesiale italiana, intenta a muovere i primi pasi verso il concordato e a salvaguardare l’Azione Cattolica, movimento che non conoscerà il commissariamento. A ottobre saranno passati cento anni dagli avvenimenti della “Marcia”, forse sarà bene soffermarsi a riflettere e parlare, il rischio di declino della memoria potrebbe portare a credere che non fosse successo niente.

GV

Numero 33, 30 luglio 2022

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PILLOLE

Accoglienza alla genovese: il cliente ha sempre torto

Il caffè Mangini è forse il solo superstite storico dei caffè genovesi, simbolo dell’eleganza e cordialità dell’accoglienza genovese. Da qualche tempo, però, questa tradizione sembra in crisi, come tutta la città. Il locale è stato sino a ieri caratterizzato da ‘NO’ a caratteri cubitali all’ingresso e sui tavolini, all’insegna di una lotta insensata, ora illegale, all’uso del POS. Oggi quei ‘NO’ tornano a campeggiare sui tavolini, col perentorio divieto di ‘self-service’. Cosa è successo? Perché deve coglierci ormai un senso di disagio nell’entrare in quello che era un fiore all’occhiello dell’accoglienza genovese e si presenta ora irto di una barriera di divieti che vogliono intimidire il povero cliente, spesso straniero e ignaro delle ‘buffe regole Mangini’?

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Luglio, un sogno

Non sono Martin Luther King, ma ho fatto anch’io un sogno, variopinto e strano: che a Genova i depositi chimici non sono finiti da Multedo a Sampierdarena ma lontani, su una diga fuori dal porto.

Genova ritornata un ambiente da sogno

Che la collina di Erzelli è diventata un parco servito da minifunivie, con un piccolo polo di eccellenza informatica. Che la sopraelevata è stata sostituita da un tunnel sotterraneo e la Gronda è stata dichiarata incostituzionale. Che una miriade di miniautobus elettrici hanno preso il posto dei giganti a diesel. Che i posteggi per scooter si sono moltiplicati come pani e pesci.

Che Maurizio Landini in piazza De Ferrari ha annunciato la costituzione del Partito del Lavoro, ridando fiducia a tutti quelli che hanno abbandonato l’ormai vuota sinistra.

Cena pesante? Eppure era così bello.

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Le sequenze ministeriali liguri

La Liguria vanta una tradizione di sovradimensionamento a livello ministeriale, nonostante l’esiguo peso materiale. Nel dopoguerra ci fu la stagione dei boss DC guidata da Paolo Emilio Taviani (Bo, Lucifredi, Cattanei, Russo), che nel bene e nel male coincise con l’irizzazione della regione. A fine ‘900 si alterna la diarchia dei “due Claudio”, molto attenti a non pestarsi i piedi, con Burlando ai trasporti e Scajola agli interni. In questa legislatura arriva l’onda spezzina: Andrea Orlando al lavoro, la senatrice FI Stefania Pucciarelli sottosegretaria alla difesa, Andrea Costa in quota Lupi, sottosegretario salute, e Lella Paita presidente commissione trasporti. Onda destinata al riflusso il 25 settembre perché nessuno a Spezia e in Liguria ha capito cosa i quattro ci stessero a fare.

 

EDITORIALE

Chi comanda in Liguria. Temi per la ripresa autunnale

Nel 1967, l’allora giovanissimo politologo Arnaldo Bagnasco pubblicò una ricerca intitolata “Il partito che controlla Polidia”; ossia chi comandava in questa comunità della riviera ligure di ponente (in effetti si tratta del suo borgo natale, Varazze) dove la Democrazia Cristiana reggeva da vent’anni l’amministrazione comunale. Tale studio esplorava alcuni aspetti molto significativi: “qual è la struttura di un partito che regge così saldamente nel tempo, quali sono le funzioni che ne assicurano la persistenza ai vertici della vita comunitaria, quali sono le condizioni che rendono possibile l’espletamento di queste funzioni?”.

Sulla falsariga del celebre modello, la Voce del Circolo Pertini intende riproporre la questione a livello dell’intero territorio ligure; nella consapevolezza delle specificità storiche e – quindi - di composizione socio-economica dei nostri quattro capoluoghi provinciali. Cosciente di un’articolazione a più livelli della struttura del potere: ufficiale, istituzionale, posizionale, informale, carismatico, mediatorio, sotterraneo, di influenzamento, burocratico, economico… e così via. Partendo dall’assunto che i paradigmi ricavati dai casi Genova, Imperia, La Spezia e Savona sarebbero sufficientemente paradigmatici per descrivere i processi di decisione/negoziazione operanti nell’intero spazio regionale. Seppure nel quadro in movimento e in chiave congetturale.

Nell’attesa di più approfondite considerazioni analitiche, partiamo da alcuni dati abbastanza noti. Procedendo per ordine: Genova nel secondo dopoguerra risulta la più rigorosa applicazione del pattern verticistico/oligarchico declinato nella tipologia del city-boss. Infatti – fino agli inizi degli anni ’70 – la scena è dominata dalla figura del leader democristiano Paolo Emilio Taviani (PET), che con il cardinale Giuseppe Siri e l’industriale Angelo Costa costituiva la trimurti genovese alla conquista di Roma (operazione che riuscirà solo all’ultimo dei tre, giunto al vertice di Confindustria). Ma del trio il vero presidiatore del territorio, patteggiando ripartizioni di potere con i comunisti (a loro il Ponente delle fabbriche, a lui il centro degli affari e il Levante borghese) e inserendo fiduciari nei punti nodali di controllo, era il leader democristiano; punto di riferimento di ogni mediazione che impediva l’emergere di competitori. In particolare nella rappresentanza associativa degli industriali, il cui direttore era un yes-man di stretta osservanza tavianea – Peppino Manzitti – di cui la vulgata racconta l’abitudine di sottrarre le pratiche riservate all’esame dei suoi datori di lavoro per dirottarle negli uffici di PET a Bavari.

Dopo questo regno, durato un quarto di secolo, ci fu l’intermezzo del socialista Antonio Canepa, cui farà seguito l’afasica occupazione del potere del dalemiano di Terza Via Claudio Burlando, più portato allo scambio negoziale che alla leadership. E mentre in città procedeva la deindustrializzazione, emergevano co-gestori più che contropoteri – sempre oligarchici: i commercianti, che con il loro segretario (Maurizio Caviglia, detto Mazzarino per il culto del non-apparire) conquistavano la Camera di Commercio, e l’avido arcivescovato di Bertone e Bagnasco.

Dunque un’occupazione degli spazi portata al rimando, che accompagnava passivamente il lento declino della città. Da qui il vuoto in cui alla fine si sono infilati i corpi estranei, conquistando il vertice istituzionale d’area: l’amerikano Marco Bucci e il giornalista Mediaset di seconda fila Giovanni Toti. I due “Podestà stranieri,” nel vuoto di offerta locale. Punti di riferimento della business community, che ne coltiva i favori finanziando la fondazione Change (gestita con spirito concussivo da Toti).

Per quanto riguarda Savona, l’estrema vicinanza fisica al capoluogo regionale prosciuga energie della politica locale dirottandole verso i palazzi genovesi; con la conseguenza di produrre effetti surrogatori: dinamiche aggregative e decisionali nella dimensione informale e, non di rado, “coper-

ta”. Ci si riferisce alla ricorrente retorica dietrologica della “Savona massonica”, in cui le decisioni avverrebbero negli ambienti opachi delle Logge, con rapporti interpersonali (e relativi favori) regolati sulla base dei criteri di “fratellanza”.

Narrazione a forte sospetto di cospirativo tendente all’inverosimile, considerando la totale assenza di iniziative di riassetto riscontrabili fino alla fine degli anni Novanta: il lungo trentennio di incontrastato declino della città della Torretta, alla faccia dei suddetti ipotetici poteri oscuri.

Massoneria savonese: 9 logge

Al massimo, nell’inerzia delle categorie economiche, s’imponeva il ruolo notabilistico per l‘amministrazione burocratica dell’esistente assunto dalla figura del funzionario associativo che ha percorso l’intero cursus honorum diventando il primo fiduciario dell’establishment, con relativa incetta di cariche; dalla presidenza di Assindustria a quella camerale: Luciano Pasquale.

Piuttosto è alla fine di questa lunga stagnazione che vede emergere a Savona un nuovo protagonismo con caratteristiche di leadership visionaria: l’alleanza tra tutte le categorie della logistica marittima officiata dall’Autorità Portuale per definire una nuova specializzazione competitiva civica centrata sull’economia del mare. Stagione che si direbbe destinata a inevitabile stop dopo l’avvento della riforma Del Rio che accorpa i porti di Genova e Savona, imponendo ancora una volta subalternità a Ponente.

Procedendo a Ovest si incontra l’atipicità imperiese, che nel ‘900 conosce un’industrializzazione diversa dalle altre tre province: non la grande industria partecipata dallo Stato ma imprese familiari nel settore alimentare, con le eccellenze del pastificio Agnesi e l’oleificio Sasso della famiglia Novaro che finiscono divorate da colossi esterni per l’incapacità delle ownership di affrontare le problematiche finanziarie d’impresa. Rimane un paesaggio di piccolissima industria prevalentemente edile e il comparto turistico come rendita di posizione priva di approcci innovativi. Un vuoto colmato nella pura logica di potere dalla politica, ma sempre nel format premoderno del familismo: gli Scajola, il cui capostipite Ferdinando, proveniente dalla provincia laziale come funzionario INPS, fondò nell’immediato dopoguerra la DC imperiese diffondendo pratiche di potere allora sconosciute nel territorio, poi professionalizzate dal figlio Claudio per una carriera ministeriale che trae alimento dal ruolo assunto quale city-boss cittadino.

Infine il caso La Spezia. Città isolata politicamente dalle inesistenti attitudini centripete genovesi ed emarginata fisicamente dal resto della regione dal passo del Bracco, che ne devia vocazioni e interessi verso Toscana di costa ed Emilia parmigiana. Gente di confine, il personale pubblico spezzino coltiva forti attitudini politicanti, in cui il carrierismo personale si incrocia con marcate tendenze combinatorie, tra il pragmatismo manovriero e il disincanto cinico. Dunque, prevalgono le tipologie – come dire? - tra il cane sciolto o il lupo solitario, che talvolta possono stipulare alleanze temporanee del genere cricche e cordate. Specie a sinistra, con totale dissipazione di un tradizionale patrimonio di seguito elettorale in una società molto rossa e molto “anarchica”, disamorata del ceto politico che dovrebbe tutelare i bisogni e osteggiare le ingiustizie. Che apre la via agli outsiders della destra; con risultati analoghi al resto della Regione, per ragioni non propriamente coincidenti. Difatti l’estremismo verbale, mixato all’intrinseca litigiosità del tutti contro tutti, si traduce nel suo contrario: l’attitudine di potere con tendenza allo scambio negoziale sotterraneo, magari il poltronismo romano, che contagia persino i movimenti sociali civili e ambientali, più portati alle campagne di facciata, quali alibi identitari, che non finalizzate a contrastare gli equilibri di potere dominanti. Sicché la palpabile presenza massonica cittadina pare rispondere più a logiche relazionali di tipo rotariano, da arrampicata sociale, che a qualcosa di più concreto quanto inconfessabile.

Infine, stante il prevalere dell’auto-promozione opportunistica, resta da approfondire quanto incida nella politica spezzina la lobby delle armi o quanto pesi la rendita politica propria dell’Autorità Portuale (anche in questo caso bloccata dalla fusione romano-centrica tra Spezia e Carrara).

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Con questo numero la Voce del Circolo Pertini va in vacanza. Ci ritroveremo alla ripresa (31 agosto) per tornare ad affrontare i trend del potere e della politica regionale (e tutto il non detto o scritto su quanto ci rjguarda in quanto cittadini), di cui in questo editoriale vi abbiamo offerto una prima anticipazione, di taglio ovviamente provocatorio: la conclusione ovvia quanto inquietante della tendenza autoreferenziale del potere in Liguria, della costante contrazione di democrazia. Lasciando aperte due ulteriori questioni: un’informazione sempre più embedded nel sistema di potere, o comunque silente; una malavita organizzata che, partendo dagli antichi confini nell’estremo Ponente degli anni Cinquanta, si è espansa a macchia d’olio verso Levante, in qualche misura metabolizzata dagli organigrammi ufficiali; sia nei business, sia negli scambi elettorali.

Buone ferie (per chi le fa).

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La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”

Danilo Bruno, Nicola Caprioni, Daniela Cassini, Angelo Ciani, Mauro Giampaoli, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Pierfranco Pellizzetti, Getto Viarengo.

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Hanno scritto per noi:

Andrea Agostini, Marco Aime, Franco Astengo, Enzo Barnabà, Maddalena Bartolini, Giorgio Beretta, Marco Bersani, Sandro Bertagna, Pierluigi Biagioni, Pieraldo Canessa, Alessandro Cavalli, Roberto Centi, Riccardo Degl’Innocenti, Battistina Dellepiane, Egildo Derchi, Marco De Silva, Monica Faridone, Erminia Federico, Maura Galli, Luca Garibaldi, Luca Gazzano, Valerio Gennaro, Antonio Gozzi, Roberto Guarino, Monica Lanfranco, Maddalena Leali, Giuseppe Pippo Marcenaro, Antonella Marras, Fioriana Mastrandrea, Maurizio Michelini, Anna Maria Pagano, Paola Panzera, Marianna Pederzolli, Roberta Piazzi, Enrico Pignone, Bruno Piotti, Paolo Putrino, Bernardo Ratti, Ferruccio Sansa, Carla Scarsi, Sergio Schintu, Mauro Solari, Piera Sommovigo, Giovanni Spalla, Angelo Spanò, Gianfranco Tripodo, Gianmarco Veruggio, Moreno Veschi.

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POSTA

Riceviamo da Michele Marchesiello questo commento a caldo

Una vergogna che sta passando sotto silenzio

C’è un nesso evidente tra il carattere mastodontico – di conseguente ‘biblica’ durata – del processo penale intentato agli imputati per il crollo del ponte Morandi, e la ben più pregnante – nonché politicamente imbarazzante – questione della revoca della concessione ad ASPI.

Già nel luglio del 2019, era stata pubblicata la relazione finale della commissione di giuristi nominata dall’allora ministro Toninelli, al fine di verificare l’esistenza delle condizioni per la revoca della concessione.

Queste le conclusioni dei legali nominati dal ministro delle infrastrutture:

a-in relazione al crollo del ponte, sussiste l’inadempimento di ASPI all’obbligo di custodia, restituzione e manutenzione;

b-tale inadempimento ha carattere di gravità in relazione all’interesse complessivo affidato alla cura del concedente;

c-su tali presupposti, il con cedente (lo Stato, n.d.a.) ha il potere di risolvere unilateralmente la Convenzione (che disciplina la concessione, n.d.a.).

I relatori, tuttavia, tenuto conto dei rischi discendenti ‘dallo squilibrato contenuto e dalle modalità di approvazione della Convenzione’ suggerivano ‘una diversa soluzione, rimessa alla valutazione politica o legislativa, volta alla rinegoziazione della stessa Convenzione’.

La politica e il Governo – in allora nella formazione giallo-verde, ma anche nelle successive combinazioni – non hanno mai ritenuto da allora di seguire il prudente consiglio della Commissione. C’era in allora la posizione ‘radicale’ assunta dal ministro Di Maio, che aveva annunciato precipitosamente l’imminente revoca della concessione, suscitando l’allarme degli investitori. E c’era la posizione della Lega (in persona dell’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti) che invitava alla prudenza, in vista del tentativo di salvare l’Alitalia anche grazie all’intervento di ASPI.

La situazione è stata risolta sostenendo che – nonostante la perentorietà delle conclusioni della Commissione – la situazione era tutt’altro che chiara, che occorreva ‘procedere con i piedi di piombo’ e che, soprattutto ‘mancava la prova regina’ della responsabilità di ASPI, prova’ regina’ che solo l’esito del processo penale sarebbe stato in grado di fornire. In questo modo si è rinviata ‘sine die’ la spinosa questione, agganciandone la soluzione all’esito del processo penale ‘monstre’ solo ora andato in scena a Genova e destinato a durare parecchi anni, forse alla soglia stessa dell’esaurirsi naturale della concessione.

La relazione della Commissione è stata così messa in un cassetto, dove giace, a quanto pare dimenticata. Come è stata rimossa la questione – davvero imbarazzante – di una convenzione redatta in termini tali da prevedere l’obbligo da parte dello Stato di ‘compensare’ riccamente il concessionario anche in caso di risoluzione del rapporto dovuta al suo ‘grave inadempimento’.

Non solo: si è addirittura voluto affidare all’esito di un giudizio penale (relativo quindi a responsabilità strettamente personali) la paradossale qualità di ‘prova regina’ in un procedimento, civile o amministrativo, del tutto diverso e autonomo anche, e soprattutto, dal punto di vista probatorio. Un procedimento, si aggiunge, in cui la gamma delle responsabilità sarebbe andata ben al di là dell’accertamento di responsabilità penali individuali, estendendosi anche alla mancata vigilanza da parte dei competenti organismi statali.

Dove si dimostra ancora una volta che nel nostro Paese il procedimento giudiziario, più che uno strumento per arrivare all’accertamento della verità, si rivela ed è utilizzato come uno strumento per affossarla.

MM

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Riceviamo dall’affezionato lettore Amedeo de Pirro

L’uomo del fare per signore-bene

Marco Bucci. Nello stesso tempo del Morandi è stato rifatto il ponte sul Magra. È vero, più corto e facile, ma dall’ANAS! E senza il bancomat Autostrade, né del progetto gratuito (?) di Renzo Piano.

Parlare di successo del grande organizzatore, dell’uomo del fare mi sembra un po’ esagerato…

In compenso nello stesso tempo non è riuscito a fare (e ci ha provato già due volte, chi paga i costi del primo tentativo andato a male?) la pista ciclabile per signore bene in corso Italia e continua imperterrito a proporre piste ciclabili come se Genova fosse in pianura Padana e avesse una popolazione di ventenni.

Naturalmente tutto questo sottraendo risorse alle esauste casse comunali, (anche se ultimamente rimpinguate con le trappole autovelox di corso Europa, il suo nuovo bancomat) e conseguentemente riducendo servizi essenziali di pulizia ed igiene. Vedere per credere i topi anche in zone centrali, tipo via Nizza, via Trento e vicinanze. Ma forse sono io che esagero: vuoi mettere la soddisfazione di andare a far la spesa in bici alla nuova Esselunga di via Piave?

Amedeo de Pirro

 

FATTI DI LIGURIA

Liguria: una regione difficile, anche per la giustizia

Che la Liguria sia, oggi più che mai, una regione difficile da vivere è anche troppo noto. Difficile muoversi (più di quattro ore da Ventimiglia a Sarzana); difficile trovarvi casa; difficile mangiarvi decorosamente a prezzi accessibili; difficilissimo fondarvi un’attività commerciale, soprattutto se si è giovani.

Tra tutte le difficoltà, non è certo secondaria quella relativa all’accesso alla giustizia da parte dei cittadini, specie per quelli che vivono in condizioni economiche o realtà abitative e locali disagiate.

È ormai tramontata la stagione – secondo noi sciagurata – che ha visto la soppressione delle gloriose preture e di alcuni importanti tribunali (Sanremo e Chiavari, in Liguria) per ragioni di ritenuto squilibrio tra i costi delle strutture e la loro ‘resa’ in termini di afflusso ed efficienza. Ci si accorge ora che, non solo in Liguria ma soprattutto da noi, è diventato estremamente difficile per un cittadino inesperto, meno abbiente, inabile o non dotato di particolare cultura, riuscire a esporre le proprie ragioni al ‘suo’ giudice naturale.

Leggiamo finalmente sui giornali locali che è stato firmato un protocollo tra Regione e Ordine degli Avvocati di Genova, il quale metterà a disposizione suoi legali gratuitamente in ben dieci nuovi ‘sportelli giudiziari’, opportunamente ubicati sul territorio metropolitano. È improprio parlare a questo proposito di ‘uffici giudiziari’, che rimangono asserragliati nelle loro sedi. Lo ‘sportello’ si limiterà a offrire al pubblico informazioni e orientamenti sull’accesso ai servizi giudiziari veri e propri, limitatamente però alla materia della volontaria giurisdizione: tutele, amministrazioni di sostegno, interventi dei servizi sociali e sociosanitari. Una iniziativa analoga – della quale non si conosce l’esito – risale a un protocollo di tre anni fa, che coinvolgeva anche il Tribunale genovese, per l’area della Val Polcevera.

Oggi, a quanto pare, le buone intenzioni sono sostenute da un fondo appositamente stanziato dal Ministero della Giustizia, che ha scelto Liguria, Piemonte e Toscana come regioni pilota per la fase sperimentale degli sportelli.

Singolare – a quanto è dato conoscere – l’assenza da questa iniziativa del Tribunale di Genova, mentre non può che essere apprezzata l’iniziativa dell’Ordine genovese degli Avvocati, consapevole anche in questo caso del ruolo sempre meno ‘privato’ e sempre più legato a una funzione pubblica dell’avvocatura.

Ma, si sa, i giudici sono sempre affaccendati in vicende troppo importanti (vedi maxi-processo per il crollo del ponte Morandi) per riuscire a occuparsi di una giustizia ‘minore’, quale quella riservata ai cittadini comuni.

MM

Numero 32, 15 luglio 2022

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PILLOLE

 

Vivere a Genova, secondo il Sole 24 Ore

Festival dell’Economia di Trento giugno 2022. Tema la qualità della vita. Da Il Sole 24 ore. Genova al quint’ultimo posto su 108 (male tutta la Liguria). I motivi: mancanza di trasporti dedicati per scuole, di aree sportive, di imprese di e-commerce, di offerte culturali, di opportunità di lavoro, di affitti cari, e via di questo passo, con conseguente fuga verso città e paesi più accoglienti. Ma stanno male anche gli anziani, per assistenze domiciliari e per infermerie geriatriche sotto dimensionate, per mancanza di parchi e giardini salubri e l’elenco potrebbe continuare. Questa è la provincia e la città da anni governata con false promesse e falsi dati. I millenials genovesi potrebbero cambiare questo stato di cose ma, emigrando per necessità, Genova continuerà ad annegare tra tronfi proclami.

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L’uso indebito dell’allerta meteo di amministratori menefreghisti

27 giugno 2022: allerta codice giallo per tutta la Liguria. Significato: domani possono verificarsi

fenomeni intensi localmente pericolosi. E il 28 infatti a Genova si scatena…qualche goccia di pioggia. Lo stato di allerta è deciso dalla rete regionale dei centri funzionali che poi convergono in quello nazionale e i comuni diramano l’allerta. Un codice verde significa: non sono previsti fenomeni intensi e pericolosi. Non che non piova. E allora perché per un po’ di acquerugiola (esagero, ma è sotto l’occhio di tutti) viene emanata l’allerta? Semplice: per pararsi il cosiddetto. Così se succede qualcosa, possono sempre dire “l’avevamo detto”. Il solito “al lupo al lupo” cui non crede più nessuno. Tanto di vera prevenzione e sicurezza ai nostri amministratori non gliene può fregar de meno.

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Galliera: l’ospedale più caro al mondo?

In gergo si chiamano slapstick, ossia la gag alla Ridolini torte in faccia e cadute ridicole. Un po’ il genere cinematografico in cui eccellono i geni amministrativi genovesi quando provano a indire aste per condurre a termine i loro progetti mirabolanti. Tutte andate regolarmente deserte. Si tratti della diga foranea come dello sventramento dell’ospedale Galliera, il record della risata applicata alla sanità: 15 anni! Ora è in arrivo a Carignano un altro finanziamento di 33 milioni per varare un bando di oltre 200, ridurre di due piani la struttura (e 2/3 dei posti letto) e creare un parcheggio da 431 posti auto. Toti ha dichiarato che il progetto di smantellare il Galliera resta prioritario e il geniale manager Zampini assicura che il nuovofinanziamento attirerà orde di privati.

                                                                               

Articoli di Simona Argentieri, Lucio Baccaro, Rosi Braidotti, Luciano Canfora, Sergio Cofferati, Furio Colombo, Nando Dalla Chiesa, Maurizio De Giovanni, Erri De Luca, Domenico De Masi, Alessandro Gilioli, Włodek Goldkorn, Nicola Lagioia, Gad Lerner, Valerio Magrelli, Dacia Maraini, Moni Ovadia, Francesco “Pancho” Pardi, Pierfranco Pellizzetti, Norma Rangeri, Carlo Rovelli, Cinzia Sciuto, Giuliana Sgrena, Pierluigi Sullo. Ad arricchire il volume saggi di Paolo Flores d’Arcais, Giovanni Savino, Mischa Gabowitsch e Mario Barbati.

 

EDITORIALI

Riflettendo sul centenario della scomparsa di Vilfredo Pareto, nostro conterraneo d’origine, il professor Alessandro Cavalli pone domande che riguardano anche l’emigrazione dei nostri giovani migliori

Il concetto di élite è applicabile a chi governa la Liguria?

Nell'anno venturo, 2023, ricorrerà il centenario della morte di Vilfredo Pareto. Chi sa se potrà essere l'occasione per riprendere alcuni temi centrali del suo pensiero? In particolare la sua riflessione sulla “circolazione delle élite”. È un tema che la sociologia, e non solo quella italiana, ha largamente trascurato da diversi anni. Molti sociologi hanno una tendenza, intrinseca alle ragioni che hanno magari inconsapevolmente guidato la loro scelta professionale, ad occuparsi, dei derelitti, degli sconfitti, delle vittime, dei poveretti e degli sfortunati (gli sfigati, nel linguaggio corrente). Guardano istintivamente verso il basso, raramente verso l'alto, se non per denunciarne i privilegi di chi occupa i piani alti. Pareto, da buon conservatore, era convinto che per comandare bisogna avere dei talenti particolari, degli istinti quasi animaleschi, e infatti parla della furbizia delle volpi e della forza dei leoni. Nel suo linguaggio un po' esoterico le volpi sono dotate di una sorta di istinto delle combinazioni mentre i leoni sono animati dall'istinto della persistenza degli aggregati. Questi istinti (lui li chiama in verità “residui”) che servono per comandare, sono piuttosto rari, ma sono distribuiti abbastanza casualmente in una popolazione, grosso modo in proporzioni analoghe nelle classi alte così come nelle classi basse. Le classi alte dovrebbero fare in modo di cooptare i potenziali leader che nascono nelle classi più basse, perché, se si accumulano nelle classi basse, alla lunga potrebbero anche fomentare rivolte e rivoluzioni. Questa è, ridotta all'osso, quella che Pareto chiama “circolazione delle élite”. Le élite che trasferiscono il loro potere (e le loro ricchezze) solo ai propri discendenti senza accertarsi se questi siano veramente all'altezza (siano cioè dotati degli istinti giusti per comandare), rischiano molto. Devono fare un po' di spazio anche ai potenziali leader che vengono dal basso altrimenti prima o poi questi potrebbero diventare una minaccia per la stabilità del loro potere. In breve, la “riproduzione delle élite” deve lasciare il passo alla “circolazione delle élite”. In un linguaggio un po' più moderno, potremmo dire che un certo grado di “mobilità sociale”, che consenta ai talenti provenienti dalle classi inferiori di salire ai livelli superiori, è indispensabile per garantire un livello adeguato di “stabilità sociale”, o come si usa dire oggi, di “coesione sociale”. Venendo all'oggi, poiché la mobilità sociale è legata alla crescita, molti segnali ci dicono che il suo rallentamento ha bloccato anche la mobilità sociale e, se Pareto ha ragione, dovremmo incominciare a preoccuparci.

Pareto ragiona in astratto, non fa riferimento a nessuna società concreta del suo tempo. In particolare, allora non si è occupato del fatto che la “circolazione” avviene anche tra società locali, tra società a livello nazionale e internazionale. Cioè, anche le élite migrano, ad esempio le figlie e i figli delle élite liguri, si trasferiscono a Milano, a Francoforte, a Parigi, a Berlino a Londra e magari anche a New York. Per fare solo un esempio, quale è la frazione della classe dirigente milanese che ha origini liguri? Oppure, quale è stato il contributo dei meridionali alla formazione delle classi dirigenti del Nord? E quali conseguenze hanno prodotto queste forme di “circolazione” sul rinnovamento o sulla persistenza delle classi dirigenti genovesi, liguri o meridionali? C'è qualche collega che vuole cercare di rispondere a queste domande?

Alessandro Cavalli

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A che tipo di sviluppo locale pensa il sindaco visionario di Genova?

Marco Bucci, il trionfatore della politica genovese dopo che gli è apparsa nel cielo la scritta “vai e fai”, non intende condividere con chicchessia i meriti della “miracolosa” (secondo retorica mediatica) edificazione del nuovo ponte post-Morandi sul Polcevera. Attualmente l’unica realizzazione di cui esista traccia a seguito della sua divina consacrazione al fare. Difatti dichiara aMaurizio Belpietro (La Verità del 20 giugno): “Se fosse per Pd e M5S non ci sarebbe il nuovo ponte autostradale”. Tanto da beccarsi la replica di Marco Travaglio (il Fatto Quotidiano, 27 giugno): “Il nuovo ponte di Genova fu deliberato e finanziato dal governo Conte-2 (M5S-Pd), che nominò commissario un certo Bucci”.

Ma il forzato del fare non si arresta davanti a queste quisquiglie e prosegue nella sua missione insonne. Semmai non è chiaro dove questo “fare” intenda andare a parare

Il viadotto sghimbescio di Renzo Piano

 Quale idea di sviluppo cittadino prenda forma nella mente imperscrutabile del nostro sindaco. In altri tempi qualche “dritta” la potevi ottenere dall’ex assessore Giancarlo Vinacci, impegnato a distillare dal suo conclamato curriculum di grande finanziere internazionale una ricetta ispirata all’immortale insegnamento di Flavio Briatore: trasformare la costa ligure nella copia di Porto Cervo per habitué di raffinati locali per nulla ostentativi e mai cafoni alla Billionaire, allo scopo di attirare sulle fragili sponde di Liguria le devastazioni a mezzo petroldollari sauditi e rubli di oligarchi russi. Se proprio lo vogliamo dire, il modello tra Las Vegas (l’apoteosi del fasullo) e Hollywood (gli ingannevoli red carpet divistici) non si sa quanto inoculabile nella ritrosa bellezza del nostro paesaggio. Del resto già sufficientemente cementificato.

Di fatto questi posseduti dalla febbre del fare non riescono a discostarsi da un’idea di pura mercificazione (oltre al paesaggio, la sanità) come leva per il rilancio territoriale che crei vantaggi competitivi e nuova/buona occupazione. Dunque, niente ricerca e sviluppo, niente impresa innovativa, niente valorizzazione delle specializzazioni metabolizzabili dallo spirito del luogo.

Solo trovate, in puro stile meneghino/brianzolo, ispirate a un’americanizzazione da barzelletta tipo Drive In. Con esempi che nella loro pochezza di idee dimostrano il filo di continuità tra questa destra di Bucci & Toti e quella che fu la sedicente sinistra al governo con Burlando. Sempre le stesse prospettive da parvenu mezzacalzetta. Esattamente vent’anni fa la preziosa area Ansaldo alla Fiumara trovò una nuova collocazione d’uso come cattedrale del consumo nella peggiore imitazione del modello Orio al Serio, a sua volta ricalcato su quello States che – come ha scritto il sociologo George Ritzer – pretende di “dare significato alla vita in una società definita dal consumo”.

L’intrattenimento come fashion&food; in altre parole straccetti firmati e insapori polpette.

La risposta della destra a questo scempio è arrivata da qualche giorno con lo sventramento di corso Sardegna e la creazione di un presunto giardino pubblico che è soltanto una Fiumara 2. Con un di più contraddittorio: dopo le tante polemiche di questa amministrazione contro il dilagare a Genova del cibo etnico (kebab e cinese), nel nuovo “luogo astratto” che ha creato imperversano sushi, tacos e l’immancabile hamburger del cowboy. Al posto di trofie al pesto e verdure ripiene. “That’s America, that’s all right” (Nando Mericoni, un americano a Roma).

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La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”

Danilo Bruno, Nicola Caprioni, Daniela Cassini, Angelo Ciani, Mauro Giampaoli, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Pierfranco Pellizzetti, Getto Viarengo.

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Hanno scritto per noi:

Andrea Agostini, Marco Aime, Franco Astengo, Enzo Barnabà, Maddalena Bartolini, Giorgio Beretta, Marco Bersani, Sandro Bertagna, Pierluigi Biagioni, Pieraldo Canessa, Alessandro Cavalli, Roberto Centi, Riccardo Degl’Innocenti, Battistina Dellepiane, Egildo Derchi, Marco De Silva, Monica Faridone, Erminia Federico, Maura Galli, Luca Garibaldi, Luca Gazzano, Valerio Gennaro, Antonio Gozzi, Roberto Guarino, Monica Lanfranco, Maddalena Leali, Giuseppe Pippo Marcenaro, Antonella Marras, Fioriana Mastrandrea, Maurizio Michelini, Anna Maria Pagano, Paola Panzera, Marianna Pederzolli, Roberta Piazzi, Enrico Pignone, Bruno Piotti, Paolo Putrino, Bernardo Ratti, Ferruccio Sansa, Carla Scarsi, Sergio Schintu, Mauro Solari, Piera Sommovigo, Giovanni Spalla, Angelo Spanò, Gianfranco Tripodo, Gianmarco Veruggio, Moreno Veschi.

POSTA

 

Riceviamo da una nostra lettrice questo simpatico testo che sta girando nel web

Ecco i motivi per cui è bello essere liguri:

  1. Avere mari e monti a distanza di 30 minuti, forse anche meno;
  2. Non conoscere il concetto di nebbia;
  3. La focaccia calda a tutte le ore;
  4. La cucina ligure, che riesce a essere a essere ricca con quasi niente;
  5. “Belin”, questo nostro intercalare onesto, melodioso e mai volgare;
  6. Le fessure blu cobalto del cielo tra le case dei caruggi;
  7. La colazione alla ligure con la fugassa pucciata nel caffelatte;
  8. Gli autobus che si inerpicano anche sulle strade più assurde;
  9. Un gatto che scruta il mondo dalla fessura di una persiana verde;
  10. Poter fare il bagno in mare ad ottobre come se fosse la cosa più normale del mondo;
  11. Il “pesto”, che ci offendiamo se altri lo copiano, anche se sappiamo benissimo che oramai lo fanno cani e porci;
  12. Salire in 10 minuti per “bricchi” e trovarsi fuori dal mondo;
  13. Salire in 10 minuti per “bricchi” e trovarsi dentro una calda osteria;
  14. I veri liguri… quelli che “una parola è poco, ma due sono già troppo”;
  15. I veri liguri, così “chiusi” e così grandi di cuore;
  16. Sentire i nostri vecchi parlare in dialetto e riuscire a capire quello che dicono (più o meno);
  17. Tirare fuori il cappotto dall’armadio solo poche settimane all’anno;
  18. Prendere in giro i “padani” per le code che devono sorbirsi in autostrada per raggiungerci:
  19. La spruzzata di neve a gennaio che paralizza la città e fa subito chiudere le scuole di ogni ordine e grado nemmeno vivessimo al Polo Nord;
  20. Il “mugugno”, che almeno questo non costa nulla;
  21. Il “mugugno” che è diventato il nostro sport preferito;
  22. Il misto “torte di verdura” servito in trattoria;
  23. La “farinata”, semplicemente geniale!
  24. Ammirare la città dall’alto quando si torna a casa con l’aereo;
  25. Leggere 10 gradi sul termometro nelle mattine d’inverno e mugugnare che “fa freddo”:
  26. Leggere 10 gradi sul termometro nelle mattine d’inverno, arrivare a 20 gradi a mezzogiorno e mugugnare che “fa caldo”;
  27. Trovarsi in qualunque punto della nostra città e pensare che viviamo nella città più bel